Protetti dalle cuffie, nel buio delle nostre stanze e lontani da sguardi indiscreti, coltiviamo a ogni età le nostre passioni musicali. Fatte di vette sublimi e sprofondi inconfessabili, tutte e tutti schiavi dell’algoritmo di Spotify. In un turbinìo incessante passiamo con disinvoltura da Mozart a Elodie, da Madame a Luciano Berio, e poi un passaggio su Ludovico Einaudi, Max Richter, Tiziano Ferro, Olly. Questo per i comuni mortali. Ma qual è la musica preferita dei personaggi noti? Qual è l’artista del cuore di Sergio Mattarella? Cosa ascolta Renzo Piano mentre cucina? Non c’era Spotify e Internet aveva da poco fatto capolino, quando Filippo Poletti cominciò a raccogliere le sue interviste. Una dopo l’altra, con meticolosa pazienza, alla scoperta della musica secondo i grandi italiani. Per rispondere anzitutto a una domanda: qual è la playlist dei grandi italiani dell’ultimo secolo? Una sorta di mania che ha generato un libro, “L’arte dell’ascolto: musica al lavoro” (Guerini next, pp. 384, € 23,50). «Ho iniziato questo libro 25 anni fa, gli stessi anni – anche se non mi considero alla stregua di questi geni assoluti – che Johann Sebastian Bach impiegò per scrivere la Messa in Si minore», spiega il giornalista, oggi 55enne, studi di chitarra classica e composizione sperimentale al Conservatorio “Giuseppe Verdi” di Milano, laurea in Musicologia, ex copista della casa editrice Ricordi e TEDx speaker, esperto del mondo del lavoro e collaboratore di diverse testate. Un quarto di secolo in cui ha intervistato 120 personaggi, donne e uomini, tra i tanti Piero Angela e Enzo Biagi, Ottavia Piccolo e Bruno Vespa, Nicola Piovani e Carlo Verdone.
E così scopriamo che per il regista romano, grande appassionato di rock e dintorni, la musica è una «vera e propria medicina, un fantastico medicinale, particolarmente indicato per chi soffre di ansia e depressione», per Paolo Villaggio «I Beatles, Mick Jagger, Bob Marley e Bob Dylan non sono grande musica ma “analfabeti”». E ancora, per Ottavia Piccolo il brano musicale capace di spiegare il perché di ogni cosa è “Kol nidrei” per violoncello e orchestra di Max Bruch, in cui l’attrice ravvisa un granello di assoluto. «Sebbene io non sia credente, sento in questo brano un evidente e profondo sentimento religioso». E così via, scopriamo che per Gianni Boncompagni «la lirica è di destra, la musica sinfonica di sinistra», per Nicola Piovani «la musica non è mai bella quando suona da sola. È bellissima quando c’è davanti un pubblico intento ad ascoltarla, a ballarla, a cantarla dentro di sé (o anche fuori di sé), ad applaudirla, o ad amarla in silenzio raccolto. La bellezza formale da sola, senza una comunità davanti, mi dice ben poco».
E così via, l’arte dell’ascolto (da cui nasce una playlist di 34 ore di musica disponibile su Spotify) si dipana tra le opinioni di grandi fisici, chimici, biologi, architetti ed economisti, donne e uomini di ieri e di oggi. Antonino Zichichi e Piergiorgio Odifreddi, Mike Bongiorno («La mia hit vivaldiana? Il Magnificat, il Gloria, i Concerti per oboi, i Concerti della stravaganza»), Bruno Vespa, Rita Levi Montalcini e Luciano Canfora («La musica nasce dal divenire perché è demoniaca. È l’esatto contrario dell’immobilità dell’Essere»). Una, dieci, cento musiche, nel flusso continuo del tempo. Perché, per dirla con Claudio Magris che firma la postfazione del libro «lo spirito, sta scritto, soffia dove vuole».