Diari di guerra, la settima parte della graphic novel

Prosegue la cronaca per immagini del conflitto. Visto da una giornalista ucraina e da un artista russo

In Europa, chi risponde della guerra in Europa? Lo chiedeva, il 16 agosto del 2001, Anna Politkovskaja, con la Cecenia in piena crisi umanitaria in mente. «L’Europa continua a dormire... l’Europa si è rassegnata all’esistenza di un territorio in cui si può fare ciò che si vuole impunemente. Brutta cosa. Pericolosa. Pericolosa soprattutto per l’Europa», scriveva la giornalista russa in uno dei suoi articoli, appena riuniti e riproposti da Adelphi (“Per questo”, documento potente di testi, molti dei quali inediti, sull’ascesa al potere di Vladimir Putin), cinque anni prima di essere ritrovata uccisa nell’androne di casa sua, a Mosca, per mano di un killer.

 

Leggi tutta la graphic novel

  1. Prima parte
  2. Seconda parte
  3. Terza parte
  4. Quarta parte
  5. Quinta parte
  6. Sesta parte
  7. La settima parte è in fondo alla pagina

La rabbia e la stanchezza sono le stesse che emergono dalle parole che K. scrive in privato all’illustratrice Nora Krug: «Credo che molti europei non si rendano conto che l'Ucraina sta combattendo per l'intera Europa: per i suoi valori, per la sua esistenza. Molti di loro si sentono offesi dalle nostre richieste di armi adeguate. Pensano che possiamo vincere la guerra senza armi? O che possiamo vincere la guerra se consegniamo a Putin i territori occupati e il loro popolo?».

 

Settimana numero 13 di “Diaries of war”, graphic novel che l’autrice di “Heimat” e di altri importanti lavori come “On Tyranny”, di origine tedesca ma naturalizzata americana, sta realizzando attraverso le interviste parallele a una giornalista ucraina, indicata con la lettera K., e a un artista russo, D. Un reportage dal cuore della guerra, nelle vite improvvisamente devastate di due persone e delle loro famiglie, che scandaglia, con un progetto editoriale in progress, la loro quotidianità distrutta: quella di K., divisa tra Copenhagen, dove ha immediatamente trasferito il figlio di 7 anni, e Kiev dove sono rimasti il marito, gli amici, il lavoro e tutta la sua vita; quella di D., che ha lasciato San Pietroburgo momentaneamente da solo, alla ricerca di un posto per sé e per la sua famiglia dove continuare a vivere sicuri, senza che la libertà sia continuamente minacciata da censura e violenza.

 

“Mattaccini” li chiamava Politkovskaja, come quei pagliacci che si presentano sulla pista del circo per far ridere: «Mattaccini sono quasi tutti i giornalisti russi dell’ultima generazione e i mass media odierni», scandiva. Un circo di disinformazione e di sudditanza al potere politico dal quale D. vuole fuggire, prima possibile e a tutti i costi: in direzione di Riga, forse, dove le persone sembrano al momento accoglienti e amichevoli, o in Lettonia, grazie forse a un visto francese. Essere russo, però, per la prima volta lo mette a disagio: la responsabilità della guerra fa riemergere stereotipi negativi intorno alla sua cultura. Ed è una dolorosa ammissione.

 

«È questo ciò che mi interessa di più, di fronte al protrarsi del conflitto: indagare lo sradicamento che stanno vivendo e la loro identità culturale in discussione», spiega Nora Krug a L’Espresso: «Capire cosa significa proteggere una cultura o lasciarsela alle spalle».

 

L’Espresso tornerà ad aggiornarvi sulle scelte di K. e di D. nelle prossime settimane.

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