Cultura
13 ottobre, 2025Gli esordi. Il ricordo dell’ultimo incontro. L’erede del celebre tenore è stato il protagonista del grande concerto per i 90 anni dalla nascita di Big Luciano, a Modena: “Lui resta vivo con la sua musica”
Grigòlo chiama Pavarotti
«L'ora è fuggita, e muoio disperato/ E muoio disperato/ E non ho amato mai tanto la vita/ Tanto la vita». Non bisogna essere dei melomani sfegatati per conoscere i versi della romanza “E lucean le stelle” di Tosca.
Luciano Pavarotti interpretava alla perfezione Mario Cavaradossi, pittore-eroe dell’opera di Giacomo Puccini. E consegnò il personaggio alla Storia. Del celebre tenore Vittorio Grigòlo è stato allievo. A soli tredici anni, voce bianca, si esibì come pastorello accanto a lui al Teatro dell’Opera di Roma, proprio in Tosca, sotto la direzione di Daniel Oren. Un battesimo di fuoco.
Oggi Grigòlo è considerato uno degli eredi più autorevoli di Big Luciano e interprete d’eccezione del belcanto. Sarà proprio lui, al fianco della soprano Maria Francesca Rossi e del direttore d’orchestra Matteo Parmeggiani, il protagonista di “La voce del coro per Modena”, concerto tributo nel novantesimo anniversario della nascita di Pavarotti. L’evento il 12 ottobre scorso ha concluso (al Teatro Comunale Pavarotti-Freni) il Modena Belcanto Festival. L'atto conclusivo di un programma ricco, un viaggio tra le opere di Verdi e Puccini, Donizetti e Rossini. «Grigòlo è stato uno degli ultimi allievi di Pavarotti. La sua vocalità molto brillante, anche se particolarmente esuberante, richiama la luminosità della voce del grande tenore», chiosa Aldo Sisillo, direttore d’orchestra e direttore artistico del festival. Abbiamo raggiunto Grigòlo al telefono a Lugano, dove abita da vent’anni.
Maestro, lei è considerato tra gli eredi di Pavarotti. Si sente all’altezza?
«Considero un grande onore testimoniare tutto questo in concerto. Luciano era circondato da amore e rispetto. Il 12 ottobre porterò in scena diverse arie che porto nel cuore, tra cui “E lucean le stelle”. Per interpretare il ruolo di Cavaradossi ho aspettato 27 anni, fino al 2017, finché non ho debuttato al Metropolitan di New York. Ma l’amore per quel ruolo viene da lontano. Nel 1990, con Luciano, facevo il Pastorello nella Tosca, lo incontrai la prima volta. Cantai prima di lui, dopo averlo visto in scena ho sempre sognato di interpretare Cavaradossi. Le sue emozioni: la vista, l’olfatto, il tatto. Nel giro di un’ora lo fucileranno, lui descrive l’attaccamento alla vita».
Quanto manca il celebre tenore al mondo della musica?
«Di lui sopravvivono dischi e registrazioni. Dal punto di vista musicale, dunque, non manca. Anche se lui se ne è andato, come tutti noi un giorno, resta vivo con la sua musica. L’altroieri, per esempio, abbiamo duettato con Luciano all’Arena di Verona, grazie alla tecnologia. Hanno proiettato alcuni filmati, io e altri cantanti siamo intervenuti dal vivo insieme all’orchestra. Manca non tanto la sua musica, dunque, quanto la sua voce semplice e solare, un tenore che apre la finestra sul mare».
Lei debuttò al Teatro dell’Opera di Roma a soli 13 anni, accanto a Big Luciano. Cosa ricorda di quel concerto?
«Lui mi aspettava ogni sera. Io interpretavo la mia arietta, poi lui cantava la famosa aria “E lucean le stelle”. Tutte le sere lo incontravo alla fine di questa lametta damascata che era la regia di Mauro Bolognini, che mi annunciò: “Il ragazzo lo facciamo uscire”. Fu molto bello, di solito il pastorello si esibisce dietro le quinte. Il regista invece mi volle sul palco, fu il mio primo contatto con il pubblico».
L’ultima apparizione pubblica di Pavarotti risale al 16 gennaio 2007, in tv. Il celebre tenore morì il 6 settembre, otto mesi dopo, all’età di 71 anni. Come fu il vostro ultimo incontro?
«Lo andai a trovare a Pesaro nell’ultima estate della sua vita. A settembre avrei cominciato le prove della Bohème a Washington. Mi chiamò per dirmi: “Prima di andare ti ripassi la parte con me”. Stava sul letto, sotto flebo. Quando arrivai si alzò in piedi per accogliermi, era contento. Ricordo che scartò un leggio di legno grandissimo, diciamo Pavarotti size…».
Ebbe la sensazione che avesse la voglia di sopravvivere alla malattia?
«Un artista non pensa mai alla morte, anche perché la morte non esiste. Cioè, naturalmente esiste la morte fisica, ma Pavarotti aveva una predisposizione all’amore, aveva la forza di alzarsi e fare lezione a un ragazzo di vent’anni che doveva cantare la Bohème. Mi disse: “Vittorio, purtroppo non potrò sentirti dal vivo”. Era consapevole della sua situazione. Per riuscire ad ascoltarmi mi fece alloggiare a quattro stanze di distanza da lui. Mi misi lì con il pianista. Il suo amico storico “Panocia” (Franco Casarini, assistente di Pavarotti, ndr) era affacciato alla finestra, io stavo lì col mio amico Vittorio Selmi. Ogni tanto Luciano si fermava e diceva: “Devi rifare questo pezzo, oppure stop, rifacciamo la battuta” e i nostri sodali comunicavano da una finestra all’altra, sembrava una scena di “Amici miei”. Alla fine mi disse: “Vittorio, sei il mio campionissimo, vai a prenderti il successo che ti meriti”. Ricordo che una bellissima luce, un po’ caravaggesca, illuminò me e il suo volto. “Vittorio ricordati che sei un signor tenore, di signori tenori non ce ne sono”, mi disse. È l’ultima volta che ci ho parlato».
In un’intervista televisiva con Enzo Biagi, nel 1982, Pavarotti disse a proposito della propria produttività: «Se un altro ha imparato in vent’anni ottanta opere, io ne ho imparate 35. Poi bisogna vedere come uno le interpreta». Condivide il suo approccio?
«Certo. Alfredo Kraus ha lavorato in tutta la sua vita su dieci opere. Negli ultimi vent’anni, ad esempio, io ho lavorato su 15 ruoli, che nel tempo si affinano. Non sempre si riesce a mantenere un’opera, nel tempo le corde vocali cambiano, la voce si ispessisce e magari si passa a un repertorio più pesante. Tanti ruoli di Rossini, ad esempio non li canto più».
Il mondo della musica è attraversato da una dura polemica. Gli orchestrali della Fenice protestano contro la nomina di Beatrice Venezi a futura direttrice musicale stabile del teatro. E un nutrito gruppo di abbonati, oltre 140, ha scritto ai vertici dell’istituzione culturale minacciando di non rinnovare. Che idea si è fatto?
«Con il maestro Venezi ho collaborato in diverse occasioni. Nei miei confronti si è dimostrata sempre all’altezza del proprio ruolo. Si tratta in questo caso di una polemica politica».
Che c’entrano gli orchestrali con la politica? È una valutazione artistica.
«C’è sempre una ragione politica. Non sono un orchestrale, un violinista, ma se il maestro avesse lavorato con quell’orchestra e i musicisti si fossero trovati male capirei. L’errore, semmai, è non averli fatti lavorare insieme, aver calato la nomina dall’alto. Quando manca la comunicazione c’è sempre la guerra».
Il talento è una dote naturale o si può imparare?
«Il talento è una predisposizione per una determinata arte. Pensiamo a Maradona, che dormiva con il pallone. Il talento è l’istinto verso qualcosa per cui proviamo emozioni importanti. Poi, ovviamente, ci sono diversi gradi di capacità. Ha più talento Ronaldo e Maradona? Io direi Maradona, ma anche Ronaldo non scherza».
A proposito di sport, vede affinità con la musica?
«Certo. Ho giocato a tennis con Federer, Nadal, Djokovic. Me li ha fatti conoscere Vittorio Selmi. Con Barazzutti mi sono allenato un paio di pomeriggi al Centrale del Foro Italico. Avevo 22 anni, gli dissi: “Senti, visto che con l’opera non si guadagna più come una volta, perché non mi mettete sotto sei mesi? Mi alleno dalla mattina alla sera, divento un campione”. Poi è andata diversamente».
Cosa le piace del tennis?
«Quando canto penso spesso al tennis. Nell’opera ci sono gli atti. Il cantante non è un centometrista, che esaurisce la performance in un tempo breve. Un’opera dura due o tre atti, come una partita si svolge in due o tre set. La prima e l’ultima nota sono le più importanti, come nel tennis la prima e l’ultima palla».
LEGGI ANCHE
L'E COMMUNITY
Entra nella nostra community Whatsapp
L'edicola
L'onda lunga - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso
Il settimanale, da venerdì 10 ottobre, è disponibile in edicola e in app