Cultura
22 ottobre, 2025Un luogo che diventa spazio di relazione: arte, architettura e comunità si intrecciano in un progetto che rinnova il senso del vivere insieme
C’è un gesto, tra tutti, che più degli altri contiene la vocazione di un luogo. Non è il taglio del nastro né il brillare di una targa, ma l’opera d’arte che decide di restare, che prende dimora. È lì, nel suo silenzio parlante, che una città si riconosce, o comincia a farlo. Il 21 settembre dello scorso anno, Brescia ha inaugurato il Teatro Renato Borsoni, un nuovo spazio teatrale nel cuore pulsante della sua riqualificazione urbana, sorto nell’area dell’ex Ideal Standard in via Milano, non come semplice contenitore culturale, ma come dispositivo di trasformazione, simbolica prima ancora che fisica. A un anno dall’apertura, quel gesto inaugurale trova un’eco durevole nell’opera Ex-stasis di Patrick Tuttofuoco, installazione permanente che non decora, ma interpreta e moltiplica il senso stesso del teatro come soglia, come passaggio e come spazio esteso della cittadinanza.
In un tempo in cui la cultura fatica spesso a trovare spazio pubblico e visibilità strutturale, il nuovo teatro bresciano - progettato dallo studio Botticini+Facchinelli - rappresenta una scelta non solo architettonica, ma quasi politica, perché la volontà è quella di restituire centralità a un quartiere decentrato, facendone incubatore di nuova socialità attraverso le arti performative, visive e comunitarie. Il Centro Teatrale Bresciano, che gestisce il nuovo complesso, ha fortemente voluto un luogo che non fosse esclusivo o elitario, ma permeabile, inclusivo, aperto alla pluralità dei linguaggi. Lo dimostra la stessa articolazione interna: due sale - la principale, intitolata a Massimo Castri, e una seconda, più intima, “L’isola che non c’è” - che dialogano tra memoria e sperimentazione, tra la forza del repertorio e le traiettorie del nuovo.

Ma è lo spazio esterno, la soglia tra teatro e città, a rivelarsi emblematico. Qui si innesta l’intervento di Patrick Tuttofuoco: un’opera d’arte pubblica che si fa architettura affettiva, visione condivisa, punto di attrazione e riflessione. Non è una scultura “da piazza”, ma un’opera capace di parlare la lingua del luogo e insieme di portarlo altrove. Il titolo scelto – Ex-stasis, come ricordato – è già una dichiarazione di poetica. L’estasi, dal greco antico, non è l’ebbrezza mistica ma l’“uscita da sé”, la sospensione, l’alterazione dello sguardo ordinario. In questo senso, l’opera si lega profondamente alla funzione teatrale: anche il teatro è infatti un’estasi civile, un momento in cui il reale viene trasfigurato per essere restituito, più denso, più comprensibile e più vero. Formalmente, Ex-stasis – selezionato tramite un bando a cui hanno partecipato 146 candidati promosso dal Comune di Brescia, dal Centro Teatrale Bresciano e da A2A, secondo un progetto artistico curato da Valentina Ciarallo - si compone di due grandi ali specchianti, aperte in un gesto che ricorda volutamente l’iconografia medievale della Madonna della Misericordia, con il suo manto disteso a proteggere, includere accogliere.
L’esterno, animato da colori caldi e vibranti, emana energia, mentre l’interno, riflettente, invita alla visione e all’introspezione: lo spettatore vi si rifrange, vi si specchia e vi si trasforma. Alla base, una struttura a forma di “T” – evocazione al contempo della croce, del teatro stesso e della storia industriale dell’area – funge da seduta collettiva, da spazio d’attesa e di sosta, da luogo fisico della relazione. È qui che l’arte pubblica rivela la sua funzione più potente: non monumentalità astratta, ma servizio sociale: un invito all’incontro, alla permanenza e alla partecipazione. non è solo un’opera da guardare, ma un’esperienza da vivere. Un luogo che ci guarda mentre lo attraversiamo. Un invito, forse, a uscire un poco da noi stessi – per ritrovarci, insieme, in una nuova idea di città. Ex-stasis,, dunque, non è solo un’opera da guardare, ma un’esperienza da vivere, un luogo che ci guarda mentre lo attraversiamo, un invito, forse, a uscire un po’ da noi stessi per ritrovarci, insieme, in una nuova idea di città.
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