Cultura
9 ottobre, 2025Autore dei romanzi "Satantango" e "Melancolia della resistenza", si è aggiudicato il riconoscimento "per la sua opera avvincente e visionaria che, nel mezzo del terrore apocalittico, riafferma il potere dell'arte''
“Una mattina di fine ottobre, non molto prima che sul terreno screpolato e salmastro a ovest dello stabilimento cominciassero a cadere le prime gocce delle interminabili e inesorabili piogge autunnali, Futaki venne svegliato dai rintocchi di una campana…”
L’ora è suonata: László Krasznahorkai è stato proclamato premio Nobel per la Letteratura 2025. L’Accademia di Svezia ha conferito allo scrittore e sceneggiatore ungherese il massimo riconoscimento, “per la sua opera avvincente e visionaria che, nel mezzo del terrore apocalittico, riafferma il potere dell'arte”.
Nato a Gyula, in Ungheria, nel 1954, autore di romanzi e raccolte di racconti, nel 2015 lo scrittore aveva già vinto l’International Man Booker Prize. Bompiani ha pubblicato “Satantango”, finalista al Premio Gregor Von Rezzori e al Premio Strega Europeo 2017, “Melancolia della resistenza” (che è diventato un film diretto da Béla Tarr, “Le armonie di Weckmeister”). Tra gli altri suoi romanzi “Il Ritorno del Barone Wenckheim”, vincitore del National Book Award for Translated Literature nel 2019, “Guerra e guerra” e “Seiobo è discesa quaggiù”.
Tra i favoriti alla vittoria di quest’anno, lo scrittore ungherese, che nei mesi scorsi ha partecipato a Letteratura Festival internazionale di Roma intervenendo sul tema dei Ritorni, è da sempre apprezzato per la sua lingua mozzafiato - periodi lunghissimi e punteggiatura ridotta all’osso che accentuano il senso di vertigine e di ipnosi - con la quale racconta individui sempre alle prese col senso del limite.
“Avanti va il mondo”, uscito lo scorso anno sempre per Bompiani, riuniva ventuno storie di uomini e donne sul punto di lasciare il mondo: un interprete ungherese ossessionato dalle cascate, perso tra le strade di Shanghai; un gigante sulle rive del Gange ossessionato da una goccia d’acqua; un bambino al lavoro in una cava di marmo. Gente che fa i conti con gli abissi, aperta allo stupore e all’imprevisto.
Come i protagonisti del suo libro più noto, titolo originale ''Sátántangà'' pubblicato nel 1985, il primo ad essere tradotto in italiano: un romanzo dark, dove una comunità di individui abbrutiti dalla povertà, dalla durezza della campagna ungherese, dalla deriva ideologica di un comunismo al tramonto attendono il ritorno del più carismatico tra loro, sparito qualche anno prima, vivo per miracolo, foriero di verità scomode.
Sospeso tra pessimismo e un’ironia amara e compassionevole; definito da Susan Sontag “il maestro ungherese dell’apocalisse”, una condizione che considera dimensione naturale dell’esistenza, Krasznahorkai ha più volte raccontato di essere diventato scrittore dopo che il suo primo manoscritto era finito nella mani del grande autore-matematico magiaro Péter Esterházy.
Ha lasciato il suo Paese alla fine degli anni Ottanta, ha vissuto a Berlino, poi negli Stati Uniti, in Cina e più di recente in Giappone.
“László Krasznahorkai è un grande scrittore epico nella tradizione mitteleuropea che va da Kafka a Thomas Bernhard, caratterizzata dal senso dell’assurdo e dall'eccesso grottesco”, ha scolpito l’Accademia di Stoccolma: ma sa anche “guardare all'Oriente adottando un tono più contemplativo e finemente calibrato”.
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