Cultura
12 novembre, 2025Il valore dell'amore sopra ogni cosa. La disciplina nella scrittura. La fiducia nel potere del cinema. Il regista racconta la sua nuova opera: “Non volevo fare un film sul vampirismo”
«Volevo raccontare un uomo d’amore, quindi un rivoluzionario: l’amore è l’unica cosa al mondo per cui dovremmo combattere. Non per i soldi, tanto meno per il potere». Il cineasta francese Luc Besson, che trent’anni fa faceva esordire Natalie Portman con “Leòn”, oggi sceglie lo stesso Caleb Landry Jones già diretto in “Dogman” per declinare la storia di Dracula a modo suo. Con “Dracula – L’amore perduto”, in anteprima alla Festa del Cinema di Roma e ora al cinema, ha trasformato l’orrore del vampiro succhiasangue nel tormento di un uomo perdutamente innamorato, che cerca la sua amata sui colli di tutte le donne (Matilda De Angelis compresa) per quattrocento anni.
Perché oggi si combatte per tutto tranne che per amore?
«I politici vogliono farci credere che combattono per nobili cause, ma non è vero. Alla fine scopriamo che i motivi alla base di ogni conflitto sono come sempre l’avidità e la sete di potere. Senza andare lontano, anche nella nostra civilissima Europa nulla è come sembra: in Francia nove milioni di persone sono al di sotto del livello di povertà. Possiamo davvero definirci Paesi “civili”?».
Cosa può fare il cinema in questo momento storico così complesso?
«Farsi benzina per l’anima. In ogni momento di crisi dobbiamo sempre fare affidamento sull’arte, su tutte le arti, che rendono possibile cambiamenti enormi, inimmaginabili. Andare al cinema, a teatro, a un museo cambia la vita delle persone».
Anche di chi l’arte la fa con le sue mani?
«Certo, sempre che sia lasciato libero di farla come crede. Oggi il dio denaro governa ogni cosa e spesso l’arte diventa un prodotto e deve seguire e sottostare alle regole del profitto. Ma l’arte non c’entra niente con il profitto, c’entra con il tempo».
In che senso?
«Pensi ai quadri di Modigliani, oggi valgono milioni, al tempo in cui viveva l’artista non valevano nulla. Così accade per i film: se un film va bene al botteghino siamo tutti contenti, ma capita che un film non vada affatto bene e non c’è da protestare, perché magari fra trent’anni quel film verrà riscoperto come un capolavoro. Considerare le opere d’arte come prodotti è un errore grave: dobbiamo proteggere l’arte sempre, a ogni costo».
Quanto le è costato essere un artista libero?
«Parecchio. Ho sempre preferito non fare film se non mi fossi sentito libero di farne uno come credevo io. Voglio sentirmi libero non solo nel contenuto, ma anche nel modo di esprimermi. Non è facile, certi critici dicono dei miei film che sono bizzarri perché comici, drammatici, spaventosi, e magari come Dracula pure romantici. E allora? Dobbiamo seguire un genere solo? Ma la vita non si sviluppa secondo un genere solo».
Quando l’ha capito?
«A quindici anni, mentre giocavo a biliardo con gli amici. Ci divertivamo, ridevamo un sacco, a un certo punto ha squillato il telefono, ho risposto e mi hanno detto che mio zio era morto. Ecco quello che chiamiamo vita. Io provo a fare film che somiglino alla vita».
Si fatica a pensare al suo Dracula come un film sulla vita vera.
«Eppure racconto un uomo che amava sua moglie come nessun altro al mondo. Tutto quello che chiedeva è che le fosse risparmiata la vita. Quando lei viene uccisa lui si sente tradito da tutti, anche dalla religione, a me sembra tutto molto “vero”».
Dai tempi di Dracula a oggi poco è cambiato: le battaglie tra popoli, le persecuzioni, il fondamentalismo religioso ci sono ancora.
«Tristemente vero. Ci abbiamo messo secoli a costruire una società fondata su valori come dignità, morale, amicizia, rispetto, onore. Oggi sono parole vuote, rimpiazzate dai soldi. Eppure i soldi non ci salveranno. Solo l’amicizia e l’amore possono salvare».
Anche dai vampiri?
«Non volevo fare un film sul vampirismo, non me ne fregava nulla. Ho visto un film sui vampiri a 12 anni, dopo dieci minuti ho dovuto spegnere, ero troppo spaventato. Quando ho riletto il romanzo di Bram Stoker sono rimasto colpito non dal vampiro, ma dalla grande storia d’amore di un uomo che aspetta quattro secoli per rivedere la moglie. Una storia che a vederla oggi è così fresca, in America i giovani spettatori sono impazziti, su TikTok c’è addirittura un nuovo “trend” su Dracula, con meme, gif, milioni di immagini e video reinventate e rieditate. Mi sembra bellissimo».
Quale è il suo rapporto con i social?
«Nessuno. Non li ho, non ho tempo, non me ne importa. Sono una vita parallela. No grazie, sono felice con la mia vita».
Com’è la sua vita fuori dal set?
«Da sempre mi sveglio all’alba per scrivere. Scrivere è la cosa che amo più al mondo, mi assorbe tanto che non mi lascia tempo per tutto il resto. Cioè prendermi cura dei miei figli. Poi un po’ dormo, penso ai prossimi film, e la giornata è finita».
Dopo “Dogman” e “Dracula”, entrambi con Caleb Landry Jones, ci aspettiamo un film che chiuda la trilogia?
«Può darsi, il titolo inizierà sempre con la “D”! Magari sarà Diavolo».
Troppo simile a Dracula. A ogni modo sia Dogman che Dracula sono due outsider. Cosa l’attrae tanto dei ribelli che combattono il sistema?
«Ci sono due tipi di registi al mondo. Quelli come Michael Haneke, che raccontano il mondo delle cose di tutti i giorni in un modo in cui non sarei capace. E registi come me che preferiscono sognare con storie straordinarie. Non potrei mai fare un buon film sul vicino di casa che ha problemi con la spazzatura. Mi conquista invece la passione degli outsider».
A 66 anni resta un inguaribile sognatore?
«Uno psicanalista una volta mi disse: se chiedi a un bambino di sei anni cosa vuole fare da grande risponderà: “L’astronauta”. E tutti rideranno, lui non capirà quelle risate perché è certo che diventerà un astronauta. A 15 anni avrà le prime insicurezze e risponderà: “Mi piacerebbe diventare un astronauta”, perché continua a sognarlo. Da adulto dirà: “Che scemo, da piccolo volevo fare l’astronauta”. La verità è che c’è un bambino che a sei anni ha detto di voler diventare astronauta, l’ha fatto contro tutti ed è arrivato a camminare sulla Luna. Ecco, io voglio fare film su quel ragazzo che cammina sulla Luna».
Che poi sarebbe lei.
«No, io sono quello che aiuta il ragazzo ad andare sulla Luna e magari scrive la sua storia. Il mio sogno è sempre stato fare cinema e non l’ho mai mollato. Tuttora non smetto di sognare, perché quando mostri quel ragazzo che cammina sulla Luna hai miliardi di persone incollate allo schermo che piangono, perché stanno camminando insieme a lui. È il potere del cinema e del sogno».

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