Cultura
17 novembre, 2025Prende forma L’Arca di Loré, il suo grand tour del 2026, concepito come un dispositivo narrativo prima ancora che musicale. L'approdo finale sarà il 12 settembre 2026 al Circo Massimo. Attesa per l'album Niuiorcherubini, registrato in presa diretta a New York in soli sei giorni
«Roma, Roma Roma!». L’esclamazione con cui Jovanotti apre il suo incontro al Teatro della Cometa non è un semplice saluto, ma una dichiarazione di appartenenza. «Ci sono nato e ci ho vissuto fino ai 19 anni: sarà sempre la mia città». Nel cuore della sua “geografia sentimentale”, Lorenzo Cherubini non introduce un progetto: riafferma un’origine, un asse del mondo.
Se «tutte le strade portano a Roma», osserva, allora «tutte partono da qui». È da questa intuizione circolare - un perenne andare e tornare, una nascita che si ripete - che prende forma L’Arca di Loré, il suo grand tour del 2026, concepito come un dispositivo narrativo prima ancora che musicale. La scelta del luogo non è incidentale. Il Teatro della Cometa, appena restaurato da Maria Grazia Chiuri, è un ventre scenico che sembra custodire una memoria intima e Jovanotti, che conosce la grammatica dei simboli, lo elegge a punto d’avvio del nuovo viaggio.
L’approdo finale sarà Roma, il Circo Massimo, il 12 settembre, pochi giorni prima dei suoi sessant’anni: un ritorno nella città in cui, dice, «nasco continuamente», perché «la nascita non è un evento, ma una condizione». Il progetto si iscrive in un presente inquieto, in quella che definisce «la nuvola di marketing della depressione», un clima in cui la percezione di catastrofe ha soppiantato l’analisi.
«La mia generazione pensava che le cose sarebbero andate sempre meglio. Non è successo, o almeno non del tutto», ma questo attrito - quasi un vento di fondo - nasce per lui l’urgenza del movimento. «Il movimento – dice - è la soluzione forte». Qui si intravede la sua filosofia elementare e insieme sofisticata: per Jovanotti la vitalità è una risposta al tragico e il viaggio un metodo conoscitivo.
L’Arca di Loré è costruita su tre piani intrecciati: un itinerario nei festival della contemporaneità globale (da Brisbane a Kinshasa, dai giardini elettronici di Monaco alla classicità inquieta di Vienna, dalla mitologia di Montreux alla straniante Vaduz); un ritorno in Italia attraverso un Jova Summer Party reinventato e decentrato verso luoghi del Sud trascurati dai grandi eventi; e infine un viaggio fisico in bicicletta, il Jovagiro, che collega le tappe restituendo al progetto una dimensione corporea, di lentezza e sforzo.
«Le ciclovie sono un asset straordinario», afferma, e il pedalare diventa un gesto insieme politico e poetico, misurazione del territorio e del proprio recupero dopo l’incidente, «un modo per mostrare che un altro uso dello spazio è possibile». Parallelamente viaggia un disco, Niuiorcherubini, registrato in presa diretta a New York in soli sei giorni. Lo definisce «un disco senza pensieri e ripensamenti», un esperimento di libertà nato per sottrazione: niente sovraincisioni, nessun algoritmo a limare gli angoli, solo la fragilità del suono vivo. Evoca un’idea di jazz etico, un omaggio a Dalla e alla sua America, ma soprattutto un omaggio a quella parte di sé che cerca la musica necessaria, vulnerabile, non mediata. «Se funziona, resta. Se non funziona, resterà ancora di più dentro di me, perché è il disco più bello che ho fatto».
Pur evitando i toni del moralista - «Non voglio dire agli altri cosa devono fare» - emerge dalle sue parole una filosofia riconoscibile, una speranza intesa non come grazia, ma come lavoro di trasformazione, «attraversare la crisi con la luce negli occhi». È un vitalismo inquieto, consapevole del tragico, ma deciso a non esserne schiacciato.
Il finale, ancora una volta a Roma, sarà una festa: non un compleanno, puntualizza, ma un omaggio alla città che lo ha formato, al Piper, all’Histeria, alle radio private, al ragazzo che era. «La mia sarà una festa colorata, pop, mai allineata». E in fondo l’Arca è esattamente questo: un dispositivo collettivo, aperto a chi voglia lasciarsi contagiare da un’idea antica e semplice, che muoversi è vivere (“Muoviti Muoviti”, cantava già nel 2000 ) e che ogni ritorno contiene già un nuovo inizio.
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