Cultura
15 dicembre, 2025C'era una volta l'hip hop militante. Dopo anni e anni di disimpegno adesso l'aria comincia a cambiare. Quello di Noyz Narcos non è un caso isolato. Come dimostrano Marracash, Ghali, Gemitaiz
E ora i rapper tornano a parlare di politica
C’era una volta l’hip hop militante. I Public Enemy e gli N.W.A. di “Fuck tha police”, in Italia gli Assalti Frontali e i 99 Posse. La punta di un iceberg gigantesco, la prosecuzione della lotta con la forza della musica. Anni Ottanta e primi Novanta, preistoria. Poi è arrivato il tempo infinito del disimpegno, i rapper concentrati su soldi, tipe, sballo, vestiti, sesso e mille sfumature di narcisismo. La deriva della trap. La svolta mainstream, il successo, gli stadi pieni.
La politica? Inutile, obsoleta, marcia. Roba da sfigati o da disonesti, obbligatorio tenersene lontani. Il rap impegnato ha continuato a esistere ma lontano dai riflettori, relegato ai margini del mercato della musica.
Adesso però i tempi stanno cambiando, parafrasando uno che di canzoni rivoluzionarie se ne intende. In giro i segnali si vedono. Molti rapper, come dimostra Noyz Narcos in queste pagine, iniziano (tornano) a far sentire la propria voce. Raggiunta l’età della saggezza sanno da quale parte stare, scelgono l’impegno, fanno politica. Marracash, Ghali, Gemitaiz, tra gli altri.
È un’onda nuova che parte da Fabio Rizzo, alias Marracash, uno dei primi rapper a riempire i palazzetti dello sport con i suoi concerti. Nella canzone “Crash” (dall’album “È finita la pace”, 2024), attacca l’esecutivo: «Governo di fasci che dice frasi preistoriche/ Pensino che basti riempire il vuoto con l'ordine». Ora per la prima volta il rapper sviscera in un libro, “Qualcosa in cui credere” (Rizzoli Lizard, a cura di Claudio Cabona, pp. 192; € 35), i tre dischi manifesto della sua carriera. Tra analisi dei testi, aneddoti e foto di backstage, il volume offre uno sguardo inedito sul percorso creativo e umano del rapper. Autobiografia e resa dei conti con un movimento che ha smarrito la bussola.«A volte mi danno del comunista. Non lo sono. Il problema oggi è il capitalismo, ovvero quella società che si fonda solo sui numeri, su quello che si possiede, sul lavoro che si fa. Difficile promulgare valori di sinistra in un mondo dove anche il più punk è griffato», scrive Marracash, che cerca vie di uscita, tracce di spiritualità lontane solo in apparenza: «Le società orientali di un tempo hanno puntato di più sullo spirito, ma hanno combinato meno economicamente, basti pensare all'India. Ecco, io credo che la verità stia nel mezzo: coltivare lo spirito rende tanto felici quanto fare denaro, bisogna cercare di relativizzare entrambe le parti della nostra vita».
E non è solo. Qualcosa si muove nel rap italiano, una corrente sotterranea. Fin dall’inizio Ghali ha scelto la strada dell’impegno. Quella della militanza diretta, senza filtri. Il rapper di origine tunisina ha trasformato le hit estive in veicoli di messaggi, ha fatto entrare il dibattito sull'immigrazione e sulla guerra nelle classifiche. A Sanremo 2024, nella serata finale, ha lasciato il palco dell'Ariston pronunciando tre parole che, chiamando in causa Israele e il suo governo, hanno scatenato un terremoto politico: «Stop al genocidio».
Il rapper negli ultimi tempi ha alzato ulteriormente il tiro. «Il rap è ufficialmente morto», ha scritto sui propri canali social tirando in ballo i suoi colleghi. Al centro della polemica il conflitto in Medio Oriente e in particolare la situazione di Gaza, tema su cui, secondo il rapper, la scena hip hop italiana non avrebbe mostrato sufficiente coraggio e impegno.
Infine, Gemitaiz. A settembre scorso il rapper romano (Davide De Luca) ha scritto un lungo post su X in cui ha commentato le dichiarazioni della presidente del Consiglio sugli scontri avvenuti a Milano durante lo sciopero per Gaza. Parole di condanna per i manifestanti: «Pensavo che peggio di Salvini non si potesse andare, mi sbagliavo. Salvini è stupido e ignorante ma almeno non è un mostro malvagio come la Meloni. Spero che dopo essere stati complici di un genocidio senza precedenti, alle prossime elezioni vi mettiate una mano sulla coscienza». Ora con il suo album in uscita, “Elsewhere” (insieme a lui tra gli altri Neffa, Coez, Salmo), in un certo senso torna alle origini. E così tra una barra e l’altra, tra un disco e un libro, il rap riscopre l'impegno. O almeno ci prova.
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