Cultura
4 dicembre, 2025L’opera di Šostakovič inaugura la stagione della Scala di Milano. Montaggio serrato, omicidi, un tocco di grottesco. La soprano Jakubiak: “Stiamo provando con l’orchestra, mi sembra di volare”
Sono una persona che ama i colori e secondo me quest’opera ne ha due: il rosso e il viola, cioè un rosso bluastro. Fuoco e ghiaccio». Proviamo con Sara Jakubiak a definire la tinta di “Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk” di Dmitrij Šostakovič, l’opera che il 7 dicembre inaugura la stagione della Scala, con repliche fino al 30. Riccardo Chailly dirige Orchestra e Coro del Teatro, con la regia di Vasily Barkhatov. Jakubiak, soprano statunitense, è la protagonista nella parte di Katerina Izmajlova, una moglie insoddisfatta che dapprima avvelena il suocero che abusava di lei. E in seguito, con la partecipazione dell’amante, uccide brutalmente il marito. Scoperta, viene condannata ai lavori forzati insieme al complice. Quando costui la tradisce con un’altra detenuta, Katerina si suicida trascinando la rivale con sé nel fiume.
Tratta dal racconto di Leskov del 1866 ambientato nella Russia di provincia, “Lady Macbeth” alterna in modo sorprendente il dramma con momenti satirici. Vedendola con gli occhi di oggi potrebbe ricordare un film giallo, che tiene il pubblico col fiato sospeso con un montaggio serrato, crudeli omicidi, un tocco di grottesco, una scena dove i colpevoli vengono smascherati e infine l’espiazione. «Proprio come un thriller», annuisce Jakubiak, che a proposito del suo personaggio afferma che «in tutta l’opera Katerina agisce dominata dalla passione. Non ha alcun punto di riferimento morale e prende decisioni sbagliate: si sposa senza desiderarlo e per uscire dal matrimonio pensa che l’unico modo sia uccidere, prendendosi i soldi dell’eredità. Davvero una persona terribile, ma posso anche capire perché lo fa: credo che sia una donna sfrenata, passionale, certamente un prodotto della sua società patriarcale. La vuole superare, ma lo fa soltanto attraverso la passione, non con la logica. Non vedo in lei una femminista».
Sara Jakubiak è alla sua prima volta sul palcoscenico della Scala: «Santo Cielo, è strabiliante cantare in questo teatro. L’inaugurazione della stagione è un avvenimento speciale e per me è magico avere questa occasione, a volte non mi sembra vero. Stiamo provando in teatro con l’orchestra e mi sembra di volare, questi musicisti sono meravigliosi».
Cosa le chiede il maestro Chailly? «Varietà, interpretazione, dare colore ai versi, dipingerli in modi differenti. In questo ruolo bisogna essere lirici e saper recitare parlando, un gran ruolo per le attrici cantanti. Mi pare una cena a nove portate, come le nove scene dell’opera. Tutte diverse, ma nello stesso menù, nella stessa opera, anche se non c’è un lieto fine come dessert».
Riccardo Chailly, alla sua ultima stagione da direttore musicale della Scala, ha spiegato in un convegno in teatro che aprire la stagione con “Lady Macbeth” è una scelta che non si giustifica col solo fatto che quest’anno cade il cinquantesimo anniversario della morte di Šostakovič, ma soprattutto perché questa, a suo dire, è un’opera sensazionale, un capolavoro fra i più grandi del Novecento, con momenti sublimi e altri dominati da una musica impetuosa. Un’opera che non concede distensioni.
“Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk” è la seconda opera lirica composta da Šostakovič (La prima è “Il naso”, dalla novella di Gogol) e fu rappresentata per la prima volta a Leningrado nel 1934. Nonostante il successo di pubblico in Unione Sovietica e all’estero, ebbe una vita difficile e costò al compositore una emarginazione, anche se temporanea, dal circolo degli intellettuali graditi al regime. Nel 1936 Stalin lasciò il Bolshoi prima della fine di una rappresentazione. La Pravda, giornale del comitato centrale del Partito comunista sovietico, recensì “Lady Macbeth” bollandola come «caos anziché musica». Fu accusata di formalismo, di essere lontana dal realismo socialista. Un violento attacco ufficiale al mancato rispetto dei canoni dell’estetica di regime e alla sperimentazione di certo teatro musicale di quell’epoca. «Non si era mai ascoltato niente del genere», commenta Jakubiak: «Ora siamo nel 21esimo secolo e sentiamo continuamente composizioni folli, quindi non ci impressiona. Nel 1936 al regime non piaceva l’argomento del sesso e neanche che si prendesse in giro la polizia. Era una minaccia all’ordine della società. Magari temevano che se avessero permesso la rappresentazione di quest’opera qualcuno sarebbe andato contro la polizia o si sarebbe comportato come se si potessero uccidere i mariti. I regimi non vogliono che le loro società vedano cose come questa».
La scena del terzo atto nel distretto di polizia è forse la più satirica dell’opera. Possiamo pensare che contribuì a far infuriare lo spettatore Stalin. I poliziotti sono offesi per non essere stati invitati al matrimonio di Katerina col suo nuovo uomo. Mentre stanno strigliando un insegnante accusandolo di nichilismo, arriva un ubriacone che per rubare il vino era entrato nella cantina della casa di Katerina. Lì ha visto nascosto il cadavere dello scomparso marito della donna. Questa denuncia dà ai poliziotti il motivo per presentarsi al banchetto, mangiare, bere e incastrare gli assassini.
Šostakovič dopo la pubblicazione della stroncatura sulla Pravda non compose altre opere liriche, abbandonando l’idea di un trittico sulla condizione femminile in Russia. Nel 1956, tre anni dopo la morte del dittatore sovietico, preparò una nuova versione col titolo di “Katerina Izmajlova”, che fu rappresentata a Mosca nel 1963 e riabilitata. Il progetto di mettere in musica “Il giocatore” di Gogol rimase incompiuto. L’autore preferì cimentarsi in altri generi, meno esposti alle critiche di regime.
A Milano adesso va in scena la prima versione, quella del 1934: «Canto quest’ opera per la seconda volta», aggiunge Jakubiak: «Ma dalla partitura originale usata qui alla Scala sto sentendo cose nuove nella musica». E la produzione? «Questo è uno spettacolo dove succedono molte cose. Ci sono tante persone dietro le quinte per rendere possibile tutto questo. Il concetto di base direi che è sorprendente: offre il punto di vista di Katerina e degli altri personaggi, incluso quello della polizia. Si va avanti e indietro nel tempo, lo trovo molto interessante».
A 90 anni “Una Lady Macbeth del distretto di Mcensk” continua a essere un’opera impegnativa per il pubblico. Perché, secondo lei? «In parte per la lingua, ma anche perché non è eseguita abbastanza, anche se ultimamente si rappresenta frequentemente. C’è un vero e proprio ritorno a quest’opera, che contiene molti temi importanti nel mondo d’oggi. Comunque è un’opera difficile, non è Mozart. Le cose vanno così veloci che se vedi l’opera per la prima volta non le afferri. Inoltre c’è un sacco di umorismo, ma è umorismo nero, che qualcuno può trovare difficile». Jakubiak, lei canta soprattutto opere in tedesco e in russo, ma il repertorio italiano? «Non me lo chiedono, ma l’ho fatto ed è meraviglioso. Ha consonanti limpide e leggere, nonché vocali cantabilissime. L’italiano è una lingua che si libra in volo come dovrebbe fare la musica».
C’è un titolo italiano che le piacerebbe cantare in futuro? «Ho sempre voluto fare “Manon Lescaut”. Forse “Andrea Chenier”, o anche “La Wally”, ma questa non si fa molto, lo so».
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