Opinioni
4 dicembre, 2025La fuga di Elia Del Grande dalla “casa lavoro” fa emergere una realtà aberrante che risale al codice Rocco
Bisogna essere grati a Elia Del Grande per avere denunciato la «realtà barbara» delle case lavoro che l’arcivescovo di Chieti-Vasto, il teologo Bruno Forte, chiede con forza che siano chiuse subito perché costituiscono un insulto alla Costituzione e alla giustizia. Gli articoli di cronaca purtroppo hanno dato fondo alla retorica securitaria parlando di una clamorosa evasione di un pericoloso criminale. Da dove? Non dal carcere, perché Del Grande era uscito dal carcere nel 2023 dopo avere scontato la pena di 26 anni e 4 mesi per un grave delitto. La fantasia si è sbizzarrita parlando di comunità, di casa famiglia, di Rems con il corollario del rimpianto per gli Opg, i manicomi giudiziari chiusi con una riforma civile che ha concluso il processo iniziato nel 1978 con la legge 180, conosciuta come la legge Basaglia.
Finalmente è emersa la realtà: si trattava di un allontanamento dalla casa lavoro di Castelfranco Emilia, carcere a custodia attenuata. Raccontare la storia è istruttivo per fare un po’ di luce su una realtà che appartiene alla archeologia criminale del Codice Rocco e della concezione positivista-lombrosiana dedicata a persone classificate come «delinquenti per tendenza, abituali o professionali»; addirittura si aggiunge la caratteristica di individuo di «indole particolarmente malvagia».
Fra gli oltre 63.000 detenuti, circa trecento, per una bizzarra sorte (o sorteggio?) sulla base di un giudizio di pericolosità sociale, oltre alla pena detentiva subiscono una misura di sicurezza che al termine del carcere li trasformerà da detenuti a internati, sottoposti nel caso più fortunato a una misura di libertà vigilata con prescrizioni di comportamento spesso stravaganti, oppure a un periodo di permanenza in una casa lavoro o colonia agricola che da un anno iniziale si può prolungare per un tempo imprevedibile. Per due anni Del Grande aveva sperimentato la libertà e il reinserimento trovando un lavoro e una compagna, ma il sogno è svanito il 23 settembre perché in seguito a un litigio con un vicino, il magistrato di sorveglianza ha deciso un aggravamento della misura di sicurezza della libertà vigilata con l’internamento in casa lavoro. La delusione è stata sicuramente forte, e così ha resistito un mese in una struttura peggio del carcere, con meno diritti e meno opportunità. A fine ottobre se ne è andato, spiegando in una lettera al quotidiano Varese News i motivi della fuga. La denuncia è puntuale ed è uguale a quelle degli internati di Aversa e Barcellona Pozzo di Gotto raccolte nel volume “Un ossimoro da cancellare”: questo è un ergastolo bianco è il grido diffuso e ancora «siamo in uno Stato democratico e dobbiamo avere la misura dei tempi di Mussolini». L’incredulità e il senso di ingiustizia sono condivisi anche da tutti gli operatori, educatori e polizia penitenziaria, che chiedono sia approvata una riforma per chiudere la casa lavoro che non dà prospettive.
La Società della Ragione ha elaborato una proposta di legge in tal senso e Riccardo Magi l’ha presentata alla Camera dei deputati. Si rimane stupefatti nel leggere che la caccia all’uomo si è avvalsa di droni e telecamere: dopo tredici giorni Elia Del Grande è stato arrestato e condotto ad Alba, in un’altra casa lavoro, secondo una truffa delle etichette che mistifica la realtà. Sarebbe davvero straordinario se questo episodio facesse esplodere lo scandalo e provocare il cambiamento.
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