Jamaica Kincaid crea da sempre paesaggi letterari estremi e affascinanti, sia che racconti i paradisi di Antigua che ambienti domestici dove affrontare infanzia, colonialismo, traumi. Figuriamoci quando lo scenario è quello faticoso e vertiginoso dell’Himalaya, tra strapiombi terrificanti e temperature che precipitano, e le nozioni di spazio e di tempo si dissolvono.
“Passeggiata sull’Himalaya” (Adelphi Edizioni, pp. 211, € 14, tradotto da Franca Cavagnoli) è, già dal titolo, un invito all’indugio e, al tempo stesso, alla sfida. Del resto, l’ha detto più volte l’autrice stessa che è proprio per sfida che si scrive: dell’ostilità degli altri, degli abissi che abbiamo dentro di noi. E così un libro diverso da quelli che ce l’hanno fatta amare (“Vedi adesso allora”, Annie John”, “Autobiografia di mia madre”) non ne è poi così lontano.

Perché dietro il racconto di tre settimane di cammino in compagnia di tre botanici, in un viaggio alla ricerca di semi da piantare nel suo giardino del Vermont, c’è molto di più di una passione, per quanto sconfinata e nata addirittura da neonata, “prima di avere familiarità con quell’entità chiamata coscienza”, per piante e giardini: metafore piuttosto di una dedizione sconfinata alla bellezza. Elogio dei giardini, del nostro ruolo nel coltivare le cose, della pazienza e della riconoscenza, del possesso, delle piccole storie che sono inscritte in un prato o sulle colline pedemontane dell’Himalaya appunto, il libro è anche un curioso percorso tra aneddoti e personaggi, di semi che hanno viaggiato dai villaggi più sperduti per mescolarsi altrove, sotto le cure di altre mani. Dall’autunno del Vermont a Katmandu, i preparativi per il Nepal, i voli e gli approdi in villaggi remoti. E l’idea della distanza che si sgretola, i chilometri macinati a piedi, i passi e i ponti tibetani, l’incontro con la guerriglia maoista non proprio rassicurante. E quei semi da far seccare prima del viaggio di ritorno, mentre quelle immagini negli occhi, distese di genziana e foreste di rododendri, notti profondamente scure e animali rari, ricordano che il giardino è un’invenzione, l’Eden invece è sempre fuori dalla nostra portata.