Un uomo vulnerabile e immaturo che conosce per caso sua figlia adolescente. L’attore nel film “Paternal Leave”, diretto da sua moglie Alissa Jung: “Siamo tutti vittime del patriarcato”

Il coraggio del padre ritrovato - Colloquio con Luca Marinelli

Perché certe persone non vogliono conoscere i figli?». Racconta di essere partito da questa domanda l’attore Luca Marinelli per interpretare Paolo, un padre italiano che non ha mai voluto conoscere la figlia tedesca e se la ritrova davanti adolescente un giorno per caso. Succede in “Paternal Leave”, in anteprima alla Berlinale e dal 15 maggio al cinema, diretto da sua moglie Alissa Jung, attrice tedesca al suo debutto alla regia. Il suo padre distratto, poco maturo, spaventato e vulnerabile è agli antipodi con il granitico, oscuro e volutamente grottesco Mussolini della serie “M. Il figlio del secolo”. «Un’esperienza meravigliosa, anche se da antifascista quale sono sempre stato sospendere il giudizio per mesi durante le riprese e avvicinarsi al male assoluto è stata una delle cose più dolorose della mia vita. Ringrazio tutti coloro che l’hanno visto e hanno capito che progetto fosse, comprendendo anche attraverso la serie l’importanza di contribuire alla nostra storia, alla collettività e al miglioramento della nostra società, abbandonando le cose orrende che ci sono state nel passato».

 

Dopo essere stato premiato per la performance superlativa al Series Mania di Cannes come miglior attore è pronto per l’eventuale sequel: «Se ci sarà la possibilità di riprendere e continuare assieme al regista Joe Wright ci sarò. Senza di lui non l’avrei fatto, mi ha fatto sentire le spalle coperte».

 

La sua carriera prosegue su un tragitto sempre più internazionale: dopo i film “Paternal Leave” e “Otto montagne”, e le serie “Trust” e “M. Il figlio del secolo”, lo vedremo affiancare Charlize Theron in “The Old Guard 2” e comparire persino nel videogioco “Death Stranding 2”: «Principalmente lavoro in Italia, dove ho la fortuna di partecipare a progetti internazionali con grandi artisti che vengono da altrove. La verità è che mi piacerebbe lavorare ovunque. Per condividere questo meraviglioso mestiere con tutte le persone che lo fanno in un certo modo nel mondo». Una per lui conta più di tutti, la regista che lo ha appena diretto per la prima volta: «Con Alissa ci siamo comportati in modo professionale sul set di “Paternal Leave”, è stato bellissimo lavorarci. Non c’è persona della mia vita di cui abbia così tanta fiducia. Abbiamo gli stessi gusti, vediamo il mondo nello stesso modo. L’atto di fiducia reciproco che si fa quando si gira un film ci è venuto facile e naturale». Ma non sorprendente: «Dire che non mi ha sorpreso può sembrare strano, ma io so che donna e che artista è Alissa, sapevo che avrebbe raggiunto belle altezze». E che non gli avrebbe consentito scorciatoie: «Era impossibile nascondermi davanti a lei, a volte sul set quando sei in difficoltà uno stratagemma lo tiri fuori, con lei non potevo, mi conosce troppo bene. Alissa ha fatto un ottimo lavoro con tutto il cast, facendoci sentire tutti utili e contenti. Solo una volta abbiamo litigato, direi che siamo stati bravi». Bravi nel raccontare le complessità di essere genitori oggi: «Credo siamo tutti fortemente vittime di questo sistema patriarcale che non ha fatto bene a nessuno». Dopo questo film ha capito come deve essere un buon padre? «Forse solo se stesso. L’importante è che sia presente, in ascolto, senza preoccuparsi troppo della definizione di “buon padre”. Stessa cosa vale per le madri, dobbiamo seguire le grandi rivoluzioni che stiamo facendo, donne e uomini insieme». 

 

Rivoluzioni che riguardano anche la rappresentazione del maschile, il suo Paolo è uomo molto vulnerabile: «Vulnerabilità e fragilità appartengono a ciascuno di noi, cambiano solo le risposte che diamo a queste sensazioni. Volevo quasi aiutare Paolo a distanza, dirgli: «Dai, forza». Ma anche fargli capire che scappare – specie da se stessi - non aiuta, né lui né le persone attorno che hanno paura delle sue bugie. L’arrivo inaspettato della figlia è uno dei regali più belli che la vita potesse fargli ed è interessante che lei sia uno specchio per lui: attraverso una giovane donna e il suo spirito rivoluzionario si spera possa cogliere finalmente l’occasione di cambiare». Questa esperienza non è stata solo cinematografica, gli ha lasciato una serie di insegnamenti: «Quando Paolo abbandona le sue resistenze e si mette ad ascoltare davvero la figlia gli capita la sua prima grande fortuna. Da questo film, che ci mette di fronte alle difficoltà e alle meraviglie della vita, ho imparato che dobbiamo ascoltare di più i nostri figli, più collegati al presente di quanto possiamo esserlo noi. Da genitori abbiamo più esperienza, ma sono loro che vivono il presente e deve sempre esserci uno scambio e un dialogo».

 

Nel film non si limita a recitare, ma canta (come fece già in “Fabrizio De Andrè – Principe libero”): «Una volta Alissa mi chiese cosa mi sarebbe piaciuto cantare e mi venne in mente “Solo per gioco” del mio amico Giorgio Poi, ho pensato potesse essere la canzone di Paolo. Mi emoziona quando dice «E tu che mi capisci bene rimani un po’». Lo trovo bellissimo, restituisce il senso dell’umanità: tu che mi capisci bene rimani, facciamo due chiacchiere tra noi».

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Il diritto alle vacanze - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso

Il settimanale, da venerdì 15 agosto, è disponibile in edicola e in app