Alla fine della sua esibizione ai David di Donatello, Riccardo Cocciante ha detto una cosa importante che tocca un punto dolente del sistema musicale italiano. Ha detto che a differenza del cinema, la musica italiana non ha un premio che assomigli ai David, ai Grammy americani o altro. C’è Sanremo, ovviamente, ma è una vetrina in cui si lanciano nuove canzoni. E perché non esiste un premio che dia dignità alla musica, che riconosca il merito, che rappresenti e valorizzi le categorie implicate nel processo produttivo? Semplice, perché il settore non ha mai avuto la forza di rappresentarsi al meglio, di darsi un’identità, di sentire come una necessità l’idea di avere un momento dedicato al bilancio dell’anno passato. È un limite culturale della discografia italiana, è una mancanza oggettiva, ed è un problema che si sente da tempo ma al quale la discografia non ha mai saputo dare una risposta valida. Peggio. Le parole di Cocciante mi hanno risvegliato ricordi antichi. Nel 1996 io ed Ernesto Assante con la complicità di Linus e Radio DeeJay ideammo appunto un premio, il PIM, premio italiano della musica, legato al supplemento musicale di Repubblica, e organizzammo ben sette edizioni del premio, che stava crescendo anno dopo anno, proprio con l’intenzione di rappresentare l’appuntamento annuale del settore, con riconoscimenti ai diversi aspetti della produzione. Un anno arrivammo al culmine, avendo nel parterre seduti accanto Fabrizio De André, Vasco Rossi, Fernanda Pivano, Ligabue, Pino Daniele. Sembrava che ce l’avessimo fatta, e invece le case discografiche si misero contro, ci dissero che non andava bene, che una manifestazione del genere la dovevano gestire direttamente loro, che avrebbero scoraggiato gli artisti dal partecipare. Insomma decidemmo di smettere, dopo l’edizione del 2002. L’anno seguente la discografia organizzò un suo premio, una sola edizione, di cui non è rimasta praticamente traccia, e poi più nulla. Il risultato è quello che sottolineava Cocciante. La musica italiana non ha un Premio degno di questo nome, non ha un momento in cui l’ambiente possa ritrovarsi, confrontarsi, fare un bilancio del proprio stato, della propria identità, con tutte le conseguenze del caso. È la stessa situazione che impedisce al settore di avere una coscienza collettiva, di fare battaglie per quelli che sarebbero interessi comuni, di difendere un’industria basilare per le sue implicazioni culturali. Ovviamente non è mai troppo tardi. Lo spazio per inventare un’iniziativa del genere c’è tutto. Basterebbe mostrare un briciolo di volontà.
Cultura
22 maggio, 2025Cocciante denuncia la mancanza di un premio nazionale per l’industria discografica. Ha ragione, ma chi ci ha provato è stato scoraggiato
Date un David ai musicisti
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