Guerriera. È l’aggettivo con cui sceglie di descriversi l’attrice Ester Pantano, ma anche quello che definisce i personaggi che porta sullo schermo. Come la magistrata Francesca Morvillo, moglie di Giovanni Falcone, che interpreta nel film “Francesca e Giovanni” di Simona e Ricky Tognazzi, al cinema dal 15 maggio. Quando le hanno affidato questo ruolo ha avuto paura. Perché si trattava di una figura importante e per la potenza della sua rivoluzione. Ma le è bastato un attimo di silenzio e un bagno al mare per «isolarmi da tutto e accettare di portare sullo schermo quella che considero una supereroina».
Partiamo dalla paura, come l’ha superata?
«Accettando che mi rimanesse addosso. Avevo un grande rispetto e voglia di raccontare con serietà la donna che è stata Francesca Morvillo. Ringrazio la sua famiglia che mi ha mostrato le sue foto private, fondamentali per prepararmi, perché di lei c’è pochissimo in giro, a parte quattro scatti pubblici o di cerimonie con Falcone. Non mostrano le sue vere espressioni, ma solo la sua immagine pubblica. Io volevo cercare di raccontarne l’anima, con la speranza che guardando questo film le ragazze possano desiderare di diventare magistrate, cambiare la società e migliorare il posto in cui vivono».
Come ha fatto Morvillo.
«Era incredibilmente forte e desiderosa di apportare un cambiamento reale attraverso il suo mestiere. Più che punire i criminali, le premeva intervenire sui giovani della periferia di Palermo, provenienti da un ambiente contaminato - quello mafioso - per dare loro la possibilità di decidere di cambiare».
Come si è preparata?
«Ho letto tanto, anzi tutto il libro di Felice Cavallaro “Francesca. Storia d’amore in tempo di guerra” da cui il film è tratto. Poi parlando con mia zia, la cui vicina di casa a Palermo era amica di Francesca, perciò si ritrovava a cena con loro e ricorda ancora la luce calda di Francesca, il suo senso di apertura. Me lo hanno confermato anche persone della sua scorta che si sono messe a piangere quando mi hanno visto, perché gliela ricordavo. Infine ho parlato con la gente per strada a Palermo, in pochi hanno idea di chi sia stata Francesca, a parte la moglie di Falcone. «Il giudice Falcone e consorte», recita il poster all’interno del carcere Malaspina dove lei stessa lavorava, c’è ancora questa narrazione».
Come se lo spiega?
«Alle donne viene riconosciuto meno valore per un retaggio culturale. Ma Bufalino aveva ragione, la mafia sarà vinta da un esercito di maestre elementari, lo dimostra Francesca, che capì l’importanza dello stare a contatto con quei ragazzi e sporcarsi le mani con loro. Sarebbe bello che la sua lezione di coraggio e integrità di valori ispirasse qualcuno dei nostri politici, che tra scontri tv e spot promozionali via social si stanno trumpizzando. Francesca non prendeva decisioni su come comportarsi con i ragazzi della Kalsa senza frequentare quei posti, e così dovrebbe fare la politica di oggi, andare per strada a conoscere da vicino le criticità dei luoghi. Andarci a piedi, di persona, intendo, non con l’auto blu, per capire quali sono le reali difficoltà delle persone e provare a cambiarle».
Da siciliana cosa rappresenta un ruolo del genere?
«Rivoluzione. Come tutti i ruoli delle donne dimenticate, come la mia Giuseppina Florio della serie “I Leoni di Sicilia”».
