L’editoria sta riversando in libreria un cospicuo, ininterrotto flusso di saggi dedicati alla prima forma di intelligenza non umana: testi che indagano come una mente completamente diversa dalla nostra stia riscrivendo il nostro presente, nel lavoro, nell’arte, nella vita. Una cosa li accomuna, pur nella differenza di prospettive e convinzioni: che con l’intelligenza artificiale dovremo convivere e che una nuova forma di alfabetizzazione sia necessaria, se non vogliamo perpetrare e amplificare ingiustizie e disuguaglianze. La traiettoria più convincente è quella di chi sta esplorando modalità di convivenza, di cooperazione e di sforzo per mantenere le competenze umane indispensabili: come la capacità di fare domande.
Pratico, con l’approccio di chi esplora concretamente le potenzialità dell’intelligenza artificiale nel supporto agli esseri umani, Ethan Mollick, docente alla Wharton School dell’Università della Pennsylvania, tra le personalità più influenti nel campo dell’Ia secondo Time Magazine, e autore della seguita newsletter “One Useful Thing”, ha scritto “L’intelligenza condivisa” (Luiss University Press, traduzione di Paolo Bassotti). Un libro che suggerisce vie pratiche per superare il dilemma geniale o spaventoso, attraverso quattro principi fondamentali. Provocazioni all’apparenza, in realtà principi frutto di consapevolezza e di fiducia nel fatto che nella frontiera frastagliata dell’Ia ci sia spazio per un reale potenziale innovativo. E dunque, per prima cosa chiedere senza riserve all’Ia di aiutarci; ma essere l’umano nel processo: assicurarsi che le sue soluzioni siano allineate coi nostri valori e standard etici. Assegnare una personalità all’Ia - un co-editor, uno stagista, un collega, un coach - e interagire con essa. Avere la certezza che la prossima intelligenza artificiale sarà migliore, ancora più autonoma, più capace di suscitare in noi la meraviglia e l’angoscia di co-intelligenze aliene sempre più potenti. E alleate.
