"Lo sbilico" è un libro che mette in gioco la malattia, la solitudine, la passione per la scrittura. E il risultato è letteratura che scomoda, interroga, emoziona

Alcide Pierantozzi, anatomia di una mente

C’è un libro che non somiglia a nessun altro. Un romanzo che risveglia parole, raffina emozioni, soffoca e fa sorridere, urtica e consola. E attira dentro il racconto in presa diretta di una realtà che via via si smaglia, si lacera, si disfa. Lasciando la pelle scoperta e sanguinante persino, mentre allucinazioni occupano il campo libero, costringendo a guardare proprio là da dove avremmo distolto lo sguardo.

Lo sbilico” (Einaudi) di Alcide Pierantozzi è un romanzo potente e indimenticabile. Perché non c’è solo il racconto di un modo speciale di funzionare dovuto a un disturbo dello spettro autistico, ma una discesa in diagnosi e sintomi, “nomi-mandala” che gli hanno raschiato le orecchie –  depressione, sindrome di Asperger, bipolarismo – storie risvegliate dall’infanzia, ricordi che sembrano inventati di sana pianta, e invece no (come l’epifania di un camion carico di volumi del “Dizionario dei sinonimi e dei contrari” che si rovesciano da un ponte sull’autore). C’è in questo libro speciale uno scrittore vero, proprio mentre Pierantozzi confessa che da tempo non si sente più così, “come trafitto nel punto in cui hanno sede le forze della scrittura. Posso solo raccontare la melma dei giorni…”. Spiuma allora i pensieri cattivi. E come una falena in vita, appuntata a una teca; “come una tartaruga ribaltata incapace di girarsi da sola”, rivive la spensieratezza in campagna, le strade di Colonnella in Abruzzo, gli anni a Milano, la palestra, i riti da spiaggia, la luce che lo acceca (“gli psicofarmaci sono ghiotti di luce”). E quel contemporaneo vedersi impazzire, che “è sentirsi tremare le gambe a furia di rimuginarci sopra, e io le ho sentite”.

Sport e poesia lo trattengono dal deragliamento, ridando senso alle cose. E una ricerca di parole-ossigeno: “parole assolute, che mettano il guinzaglio ai pensieri. Ogni giorno le cerco nei dizionari, nei libri antichi, nelle traduzioni, e ne faccio dispensa”, racconta, citando alla fine poeti, testi e l’amato Foster Wallace. Parole come riserva per i giorni cattivi. Scudo per trattenere le allucinazioni nel covo. Arma di lucidità. Verità che svelano la sorprendente grandezza della letteratura.

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