Settant’anni fa nasceva la Torre Velasca

Nel celebre film Il Vedovo di Dino Risi, Alberto Sordi interpreta un imprenditore fallito che vive, grazie al patrimonio della moglie, in un attico ultramoderno con vista sulla città. Non si tratta di un attico qualsiasi: è uno degli appartamenti della Torre Velasca, il grattacielo appena costruito che simboleggia ricchezza, status e modernità. In una delle scene finali, Sordi o per essere precisi “Cretinetti”, precipita proprio dall’ascensore della Torre rimanendo vittima dello stesso agguato che aveva progettato per uccidere la moglie.

 

È un’immagine che riassume, in modo grottesco e geniale, tutto ciò che la Torre Velasca ha rappresentato: l’ambizione verso il benessere di un Paese ancora molto provinciale e improvvisato. Quando nel 1955 partono i lavori, Milano è ancora segnata dalle ferite della guerra ma già proiettata verso un futuro di ricostruzione e crescita. La Torre, con il suo profilo allargato in cima e la struttura “brutalista” in cemento armato, è il primo vero esperimento di skyline italiano: l’obiettivo era quello di far dialogare l’architettura con le strutture antiche del Duomo, col Castello Sforzesco e la torre del Filarete. Un ritorno alla tradizione antica della torre medievale, ma in versione moderna.

 

Viene inaugurata ufficialmente nel 1958 con un grande battage pubblicitario. Fin da subito, i ventisei piani della Torre Velasca divennero la sede degli uffici più prestigiosi ma anche, negli ultimi piani, degli attici con la vista migliore della città. Tanti i nomi del mondo dello spettacolo, uno dei primi inquilini fu l’indimenticabile Gino Bramieri, una delle celebrità milanesi più amati dal pubblico.

Il Duomo: l’unico mito da non superare

Una legge degli anni Trenta stabiliva l’altezza di ogni nuovo edificio milanese entro i 108,5 metri, ovvero il punto più alto del Duomo. Il progetto della Torre Velasca si fermò a 106 metri: un gesto di omaggio alla tradizione, e alla spiritualità profonda che lega la città alla sua “Madonnina”. Anche se oggi quella legge non è più in vigore, Milano continua a rispettare quella tradizione: sulla cima della Torre Isozaki, ad oggi il grattacielo più alto della città, è stata posizionata una copia esatta della Madonnina del Duomo.

Un edificio a dir poco “divisivo”

La Torre Velasca è da sempre un esperimento architettonico divisivo: c’è chi la ama e chi la odia. Le prime critiche arrivarono già degli anni Sessanta, lo scritto Luciano Bianciardi la definì “un torracchione di cemento”. L’immagine innovativa della Torre Velasca cominciò ad affievolirsi già nei primi anni Settanta, complice il clima decisamente meno ottimista degli anni di Piombo. Il suo aspetto trasandato aveva fatto sollevare anche qualche bizzarra ipotesi di demolizione. Vittorio Sgarbi ha dichiarato che la Torre Velasca rappresenta il “paradigma della civiltà dell'orrore” mentre Philippe Daverio ne difese sempre il carattere originale e dirompente rispetto alla tradizione italiana, per il critico d’arte la Torre Velasca era un “capolavoro assoluto”.

 

Dopo vari passaggi di proprietà, l’edificio è stato acquisito da Hines, una realtà internazionale del settore immobiliare nel 2019. Il restauro conservativo, curato dallo studio Asti Architetti, ha riportato la Torre Velasca agli antichi splendori. Oggi la torre ospita due ristoranti e diversi spazi retail e business. Orrore o genio, la Torre Velasca resta il mito affascinante di un’Italia ottimista, il prodotto di un clima socioeconomico, forse, irripetibile.

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