Nel mito eterno dell’american dream. Come in “Johnny B. Good”, uno dei primi classici del rock’n’roll

Nel sogno di Alex Warren, da homeless a popstar

C’era una volta l’american dream, quel sogno americano secondo il quale a tutti era concessa una chance per avere successo. E per assurdo quel sogno c’è ancora, almeno a giudicare dalla storia di Alex Warren, letteralmente passato nel giro di qualche anno da homeless, senza arte né parte, a popstar planetaria.

 

Ora è in classifica più o meno ovunque nel mondo, perfino in Italia, ed è vero che la sua biografia racconta un percorso quasi inverosimile. Una storia devastante, degna di un David Copperfield in chiave americana e contemporanea. Anzi, per la cronaca, questa storia a livello letterario esiste ed è uno strepitoso romanzo che ha vinto il Pulitzer 2023, intitolato “Demon Copperhead”, scritto da Barbara Klingsolver, che già nel titolo tradisce la deliberata devozione a Dickens. La vicenda avvincente e tragica di un ragazzo cresciuto nell’America di oggi che somiglia molto a quella reale di Alex Warren. Ha perso il padre a nove anni, a diciassette è stato cacciato di casa dalla mamma alcolizzata per finire a dormire per strada o nelle auto degli amici, senza casa né soldi. Ce n’era già abbastanza per schiantare chiunque, ma non l’intraprendente Alex che aveva iniziato già da piccolo a fare video per i social, perfino a scrivere canzoni, e quindi invece di arrendersi alla malasorte comincia a postare storie, TikTok, poi ci prova con la musica e a 24 anni sfonda con un singolo intitolato “Ordinary”, un pezzo d’amore dedicato a sua moglie Kouvr Annon. Tutto questo farebbe pensare che alla fine il sogno americano esiste, che è davvero possibile che anche un barbone diventi una star musicale a livello planetario, proprio come raccontava uno dei primi classici del rock’n’roll, “Johnny B. Good”, in cui Chuck Berry profetizzava al protagonista, un qualsiasi Johnny di periferia, che un giorno il suo nome sarebbe stato scritto sulle insegne luminose dei teatri. Il mito del sogno americano è sempre stato fasullo, nel senso che, esattamente come nelle slot machine, è vero che prima o poi ci sarà una vincita, ma perché succeda ci devono essere centinaia e centinaia di giocatori che perdono, perché alla fine a vincere è sempre il banco. Nel gioco come nella società americana. Da noi questo mito ha attecchito molto poco o niente. La nostra società, poco mobile, non ha cavalcato la leggenda. Un barbone che poi diventa una star e davvero difficile da credere. Uno su mille ce la fa, ammoniva Morandi. Per gli altri novecentonovantanove c’è poco da fare.

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