Cultura
27 agosto, 2025Il regista non perde il suo marchio identitario. Gusto del paradosso, della battuta icastica, delle atmosfere ironicamente solenni o solennemente ironiche, delle metafore esibite con spavalderia: tutto si ritrova nella pellicola. Che però fa rimpiangere il grande cineasta di “Parthenope”
“Anni fa Sergio Mattarella concesse la grazia a un uomo che aveva ucciso la moglie malata di Alzheimer. Da allora andavo rimuginando sul problema della grazia, mi sembrava un formidabile motore narrativo. Così ho dato forma a questo immaginario Presidente della Repubblica, nascondendo dietro al suo aspetto austero e rigoroso l'amore per tutta una serie di valori che la politica dovrebbe incarnare ma oggi si intravedono raramente. Anche perché bisognerebbe frequentare di più il dubbio, ma non mi pare che la nostra classe politica sia di quest'avviso”. Così Paolo Sorrentino presenta “La grazia”, film di dialoghi e di idee, di sentimenti e di autocitazioni, che ha aperto la Mostra in Concorso.
Toni Servillo è il presidente Mariano De Santis, un vedovo affettuosamente soprannominato “Cemento armato” per le sue certezze apparentemente monolitiche, anche se in cuor suo non smette di rimpiangere l'amatissima moglie defunta. Anna Ferzetti è la figlia Dorotea (ma non nel senso democristiano), giurista come lui ma anche più sola del padre, una vita sempre nell'ombra, tutta dedicata alle istituzioni e a quella ingombrante figura che è insieme paterna e istituzionale. Dunque in attesa di deragliare, trasgredire, forse sbocciare. Sul loro rapporto, dentro al Quirinale, e sulla grande prova dei due protagonisti, alla loro prima volta insieme, si incardina un film che vive di atmosfere non nuove a chi conosce il cinema di Sorrentino. Con un'andatura pacata, a tratti anche un po' telefonata, senza grandi impennate di stile o di racconto ma con molti intermezzi e siparietti brillanti.
In testa le apparizioni folgoranti di Milvia Marigliano nei panni della terribile Coco Valori, ragazzaccia incorreggibile e “parodia di una critica d'arte”, amica d'infanzia del Presidente e sua implacabile confidente, nonché custode di ostinati segreti. Il tutto per vivacizzare un film che segue gli ultimi combattuti mesi di presidenza del protagonista. E procede non sempre imprevedibilmente tra scaramucce familiari e dubbi politici, Grandi Temi (l'eutanasia, la grazia da concedere o meno a due personaggi enigmatici, una donna che ha ucciso l'amante torturatore e un uomo che invece ha messo fine ai giorni della moglie malata) e improvvise epifanie.
Come quella che vive la figlia quando, a colloquio con l'assassina, si sente leggere dentro come mai le era successo prima. Ma senza mai perdere quel gusto del paradosso, della battuta icastica, delle atmosfere ironicamente solenni o solennemente ironiche, delle metafore esibite con spavalderia (l'astronauta che volteggia in assenza di gravità), che è ormai un po' il marchio di Sorrentino. Vedi le frequenti incursioni rap in queste vite solo apparentemente imbalsamate, molto applaudite a Venezia. O quel papa “rasta” che sigla un incontro decisivo col Presidente (e una schietta discussione sull'eutanasia) su una nota divertente ma un po' facile. Come tutto questo film che magari avrà un grande successo, ma certo fa rimpiangere il grande cineasta di “Parthenope”.
LEGGI ANCHE
L'E COMMUNITY
Entra nella nostra community Whatsapp
L'edicola
Luna cinese - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso
Il settimanale, da venerdì 22 agosto, è disponibile in edicola e in app