Il 3 luglio si assegna il prestigioso premio letterario. La scrittrice Melania G. Mazzucco, presidente del Comitato direttivo, ci guida nell’edizione di quest’anno. Tra esclusi, promossi, favoriti. E una sorpresa di nome Ruol

Caccia allo Strega, tra famiglie e follia

Ottantuno libri proposti dagli Amici della domenica; una dozzina scelta il 15 aprile scorso; una cinquina annunciata a Benevento il 4 giugno. E la finale fissata per il 3 luglio nel ninfeo del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma. Obiettivo: consacrare il libro dell’anno, proiettarlo nell’albo d’onore più prestigioso d’Italia, moltiplicare le vendite per mesi e mesi. E confermare la capacità del Premio Strega di intercettare lo spirito della nostra letteratura, di farsi barometro di umori, sensore di tendenze narrative: di scattare la foto di gruppo più rappresentativa degli autori e delle storie migliori.

Cinque i libri in gara nel rush finale del più combattuto premio letterario: “L’anniversario” di Andrea Bajani (Feltrinelli), “Quello che so di te” di Nadia Terranova (Guanda), “Perduto è questo mare” di Elisabetta Rasy (Rizzoli), “Chiudo la porta e urlo” di Paolo Nori (Mondadori), “Inventario di quel che resta dopo che la foresta brucia” di Michele Ruol (TerraRossa). Ma prima «un impegno enorme, un’esplorazione profonda di testi sempre più sorprendenti, di grande qualità, che arrivano da scrittrici e scrittori dalla ricca storia editoriale ma anche da editori o autori che prima non conoscevamo», fa notare Melania Mazzucco, presidente del Comitato direttivo, vincitrice lei stessa del Premio nel 2003 con il romanzo “Vita” (Rizzoli): «Cerchiamo di comporre una dozzina che rispecchi l’equilibro complessivo, che colga le vette di una catena montuosa fatta comunque di bellissime montagne, anche quando, con dispiacere, restano sommerse».

Scandagliamolo questo paesaggio letterario. Che cosa ci racconta?

«Prima di tutto, mette in luce fenomeni in corso già da qualche anno. Come le storie familiari raccontate in prima persona o comunque autobiografiche: la ricostruzione di storie familiari e di rapporti privati complessi è una tendenza molto evidente».

L’immagine di famiglia che ne esce è tutt'altro che idilliaca.

«È vero, la famiglia è il luogo del segreto, della menzogna, dell’oppressione, a volte anche della reclusione fisica, da cui il soggetto cerca di liberarsi attraverso la scrittura. La cosa che mi ha molto stupita è il fatto che lo scrittore sia sempre nel ruolo di figlio piuttosto che di genitore. E non è una questione anagrafica: gli autori sono tutti in un’età che gli consentirebbe di affrontare un punto di vista rovesciato. Invece, un solo libro candidato parlava di un papà, quello di Giorgio Biferali, “Sono quasi pronto”. Per il resto è un diffuso fare i conti con padri, madri, avi».

Perché succede? Non sappiamo raccontare la genitorialità?

«È interessante, ci dice molto dell’Italia. Il nostro è un Paese che guarda all'indietro. E questo è il momento di scrittura di una generazione che è stata a lungo figlia, protetta e allo stesso tempo oppressa dall’ultima generazione di patriarcato, o perlomeno di una struttura sociale che distingueva nettamente i ruoli di genitori e figli».

L’altro tema comune a molti libri è la follia. “In Italia c’è un’emergenza sociale e un’emergenza letteraria” ha detto.

«Sì, la follia permeava anche altri titoli che non sono entrati nella selezione finale. C’è la follia “storica”, che fa riflettere sui manicomi, sulla cura, sull’internamento. Penso al libro di Renato Martinoni su Dino Campana, “Ricordi di suoni e di luci”, ma anche alla protagonista di Nadia Terranova in “Quello che so di te”. E ci sono molti casi in cui si racconta la follia di oggi, cioè la crisi psichica che investe tantissimi, la depressione che può spezzare di colpo una vita e che devasta le relazioni familiari. Ho in mente il libro di Wanda Marasco, “Di spalle a questo mondo”, in cui la storia di Ferdinando Palasciano investe la moglie e la società intorno. Non è follia romantica, è un tema vero di disagio contemporaneo, diffusissimo. Che la letteratura fa emergere in modo lacerante».

E si potrebbe continuare: con il romanzo “Lo sbilico” di Alcide Pierantozzi; con Serena Vitale, “La cartella clinica”, libri di questi mesi...

«È il grande tema dell’anno, indubbiamente: l’attenzione alla famiglia c’è da qualche tempo, ora è deflagrato il tema del disagio».

Un libro che avrebbe voluto vedere in cinquina e che invece è stato escluso?

«Sono in difficoltà a rispondere, perché ho trovato una bellissima dozzina e in verità un po’ tutti i titoli che non sono entrati in cinquina avrebbero meritato di essere portati all’attenzione dei grandi lettori».

Ci sarà uno per cui ha provato più dispiacere…

«Per il libro di Giorgio van Straten, “La ribelle”, una bellissima storia ambientata nella Seconda Guerra Mondiale, con una donna che lascia la sua famiglia, l’ordine, il mondo nel quale è cresciuta per le montagne: per amore, certo, ma anche per un’idea di mondo. C’è il racconto della lotta partigiana che è l’altro grande tema affiorato da tanti libri. In tutti i modi, dalla narrativa di genere al memoir, gli scrittori sono tornati a raccontare la guerra e il fascismo».

“La ribelle” racconta la vita di Nadia Parri. Le lotte partigiane sono anche sullo sfondo de “I giorni di Vetro” di Nicoletta Verna, una delle grandi escluse dalla dozzina. Come Marasco uscita dalla cinquina.

«Mi dispiace che si parli sempre delle esclusioni e non delle inclusioni. È vero, quest’anno grandi editori non sono entrati nella selezione finale. Non ci sono neppure libri della Nave di Teseo. Penso anche ai romanzi di Bompiani, con due autrici molto brave, Giorgia Tolfo e Antonella Cilento. Sono state fatte scelte diverse».

E allora parliamo delle inclusioni: le più sorprendenti?

«Ho apprezzato molto l’esordio di Saba Anglano, “La signora Meraviglia”, perché con molta grazia e lirismo, anche con spirito polemico e satirico, racconta una storia di spaesamento. “La signora Meraviglia” è la cittadinanza italiana, il grande tema di oggi, ma che cos’è davvero? Un pezzo di carta, la cui mancanza però fa dire alla zia protagonista, che ha vissuto tutta la vita fuori dall’Africa: “Io mi sento niente”. È una prospettiva interessantissima di un preciso modo di stare al mondo».

Singolare è anche la fisionomia dell’autrice, più nota nel mondo della musica. È un modo per dire che lo Strega è attento anche a mondi diversi da quello letterario?

«Esatto, la scrittura può venire anche da altrove. Ci sono nella selezione scrittori che vivono di scrittura, ma anche autori che magari hanno fatto altro fino a oggi. Ci sono voci puramente letterarie, ma c’è anche il true crime, genere che a me piace molto, nel bel libro di Valerio Aiolli».

È un genere che resta spesso fuori dalla letteratura. Perché romanzi gialli, o il sentimentale che regge tanta parte del mercato editoriale, non entrano in gara?

«Spesso il true crime è considerato paraletterario, tranne in casi eclatanti come è stato “La città dei vivi” di Nicola Lagioia. Va detto che libri connotati come di genere arrivano poco già in preselezione. Stanno nel mercato, che per altro li riconosce, non hanno neppure bisogno di un premio letterario che dovrebbe valorizzare la ricerca, la lingua, e amplificarne il successo».

A proposito di linguaggio, che qualità c’è nei libri di quest’anno? L’anno scorso ha sottolineato una certa povertà linguistica, parlando di lingua funzionale…

«Alta. Che un libro sia scritto bene è la premessa, però se devo fare un confronto mi sembrano tutti di un livello più alto, senza quell’orientamento alla serialità e alla comunicazione che avevo notato».

I voti degli Amici della domenica tradizionalmente vanno ai nomi più noti e accreditati. Quest’anno c’è una sorpresa: Michele Ruol.

«Abbastanza clamorosa: un autore ignoto, di un piccolissimo editore che da tempo però fa un lavoro di grande qualità, e quindi sono felice anche per lui: era già stato in dozzina nel 2021 con Daniele Petruccioli, “La casa delle madri”. È il riconoscimento a un lavoro appassionato, fatto di pochi libri all’anno, scelti con attenzione».

TerraRossa Edizioni. Conosceva già Ruol?

«No, non lo conoscevamo. È un medico anestesista, ha partecipato a diversi premi per inediti, che ha vinto. È la vera sorpresa di questa edizione».

Walter Veltroni ha proposto Ruol. Ma anche i gruppi di lettura, espressioni di quei voti collettivi meno sensibili a marchi editoriali consolidati, lo hanno amato.

«È questa la ragione per cui il Premio ha introdotto le riforme volute da Tullio De Mauro: per accogliere i gusti di una platea più ampia degli Amici della domenica: la cinquina eterogenea di quest’anno lo conferma, mettendo insieme autori molto diversi per età, storie, esperienze».

Ora tutti insieme in tour, in Italia e all’estero. “Ci vuole un fisico bestiale”, ha scherzato la vincitrice dell’anno scorso, Donatella Di Pietrantonio.

«È stancante ma molto importante far conoscere gli autori e i libri. Ed è un lavoro sulla lettura che va fatto non solo nelle grandi città, ma proprio nei luoghi più disparati d’Italia, dove l’accesso alla cultura è spesso complicato».

Quest’anno è mancato il dibattito sulla prevalenza di autori rispetto ad autrici. La disparità di genere non è più un tema?

«È un esito importantissimo dell’attenzione avuta nell’ultimo quinquennio. C’era una diseguaglianza fortissima di candidature, in passato, come se gli editori dessero per scontato che la donna scrittrice fosse più debole. Farle emergere dalla selezione, se i titoli candidati erano pochi, era difficile. Dunque dobbiamo ricordarci che la disparità letteraria non è più un tema purché si creino le condizioni perché non lo sia, altrimenti tornerà a esserlo».

Ci sono libri che saranno preferiti dalle donne e libri più amati dagli uomini? Il genere influenzerà il risultato?

«Secondo me sì, ci sono forti connotazioni di genere nei titoli in cinquina. Nella dozzina meno: c’era un libro molto bello, “Incompletezza” di Deborah Gambetta sul matematico Kurt Gödel, che come in un ping pong di genere assommava la sfida di uno sguardo super femminile a una materia maschile per eccellenza. La cinquina finale potrebbe polarizzare i lettori».

E chi vincerà?

«Questo non posso dirlo, anche perché oggettivamente negli ultimi anni sono prevalse scelte imprevedibili. Ci sono tanti gruppi di lettura che esprimono un voto, ci sono voti che vengono dall'estero con una prospettiva diversa sulla nostra letteratura. Vedremo. Intanto mi piace sottolineare la capacità del Premio di far emergere voci e luoghi diversi: anche la presenza di case editrici come Manni e TerraRossa esprime una vivacità intellettuale del Paese che va oltre Roma e Milano. È bello che autori che hanno già vissuto l’esperienza del Premio siano tornati. E che ci siano tanti esordienti: segno dell’importanza del Premio per gli scrittori e per il mondo editoriale».

E per i lettori?

«È importantissimo non allontanarci dai lettori, ma proporre loro magari non i libri già in classifica, ma qualcosa che valga davvero la pena leggere. Questa è la vocazione dello Strega: la capacità di comporre un quadro della nostra letteratura. L’Italia ha fatto dell’ibridazione di generi una caratteristica propria: consideriamo romanzo quello storico, il romanzo-saggio, il memoir, la biografia. All’estero no, non a caso si concorre per sezioni diverse. E questo accade dai tempi del “Tolstoj” di Pietro Citati, del 1984, o de “Le nozze di Cadmo e Armonia” di Roberto Calasso, del 1989. Il Premio Strega ha la capacità di intercettare la libertà di raccontare: ieri come oggi».

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