Arriva l’estate, tornano gli zombie. Sono fenomeni ciclici, il caldo sfinisce, l’aggressività si impenna. E dal fatidico 1968, l’anno in cui Romero diresse il glorioso “La notte dei morti viventi”, poche metafore si sono rivelate più elastiche, dunque fruttuose. Gli zombie sono anonimi, riciclabili, macellabili, soprattutto variabili più o meno all’infinito. Un invito a nozze per trucco ed effetti speciali. Ma una manna anche per gli autori, che a colpi di zombie hanno riformulato molti orrori e terrori dell’ultimo mezzo secolo. Le guerre, il consumismo, il razzismo, il nucleare, la globalizzazione, qui perfino lo shopping online: agli zombie si addicono i Grandi Temi e quelli di Danny Boyle (con Alex Garland alla sceneggiatura) non fanno eccezione.
Due infatti – Boyle dixit – sono i punti fermi da cui è nato questo sequel del fatidico “28 giorni dopo” (2002): la Brexit e i Teletubbies. I secondi ispirano un grande incipit, una delle molte zampate d’autore di un film peraltro ondivago. La Brexit è invece il motore di un racconto classicamente diviso in tre atti: Iniziazione, Rivolta, Scoperta (e accettazione) della realtà. Il tutto poggiato sulle spalle di un dodicenne (il portentoso Alfie Williams), che il padre porta per la prima volta sulla terraferma a caccia di “Infetti”, ovvero di zombie. Ed ecco la Brexit, perché l’isola su cui vivono Spike, suo padre (Aaron Taylor-Johnson) e una madre giovane ma malata (Jodie Comer), è collegata alla terraferma da un sentiero percorribile solo con la bassa marea. Cosa che protegge gli abitanti dall’epidemia ma favorisce anche un’economia di guerra e una cultura passatista (altra zampata: “Delilah”, nessuno usa la cultura pop come il regista di “Trainspotting”).
Curiosamente quest’isola (Lindisfarne, nel Northumberland) e il suo sentiero intermittente esistono davvero. Il resto sono scene efferate sullo sfondo di una campagna idilliaca, cosa che a tratti rende i poveri zombie nudi e capelluti simili a hippie andati a male. Prima che il terzo atto, e l’apparizione a sorpresa di un Grande Attore, ci porti un po’ forzosamente in una zona a cavallo tra Pol Pot e “Apocalypse Now” (citato quasi alla lettera). Il guaio è che gli autori sembrano fin troppo consapevoli (il prigioniero appeso a testa in giù è una sfacciata autocitazione dal profetico, splendido “Civil War” di Garland) e il “messaggio” spesso finisce davanti al film. Poco male, è già in arrivo un sequel del sequel, e non si esclude un terzo capitolo. Chissà come evolveranno nel frattempo gli zombie, Qui si dividono in Lenti, Veloci e Alfa. I più pericolosi ovviamente.