Istituzioni storiche declassate, importanti compagnie penalizzate. I punteggi per i fondi agli spettacoli azzerano prestigio e qualità di molti palcoscenici. E premiano sale amiche

Gran caos a teatro

Ci volevano le dimissioni di ben tre membri della Commissione Prosa del Ministero della cultura per far scoppiare il caso. Quale? Quello di un teatro pubblico moribondo, dove contano solo i grandi numeri e non più i contenuti, gli sponsor privati e non i finanziamenti pubblici, le amicizie a Destra e non la competenza. Perché è di questo che si tratta: bocciature politiche - come  il declassamento del Teatro della Toscana (Teatro La Pergola e Nuovo Rifredi di Firenze, Teatro Era di Pontedera) – e premiazioni inaspettate  – come quella del Teatro Biondo di Palermo o dello Stabile d'Abruzzo - sono la cronaca di una morte annunciata dal decreto n. 463 del 23 dicembre 2024 e la conferma dell'attuazione di un piano, anche quello annunciato dal Governo meloniano: l’anno zero della cultura.

 

Tutto azzerato, dunque: storia, prestigio, qualità. Lo confermano i punteggi assegnati dalla Commissione consultiva per lo Spettacolo dal vivo del Mic alle 700-800 realtà teatrali che hanno presentato domanda di finanziamento triennale (Fnsv, ex Fus). Ma anche i verbali pubblicati dalla Commissione Multidisciplinari del Mic, in cui risultano pesantemente penalizzati festival storici e di qualità, come Santarcangelo o Armunia (salvo per un soffio), e bocciate realtà preziose come Triangolo scaleno, Margine operativo, Akropolis. E non è andata meglio neanche alla Danza, con l'esclusione dal finanziamento triennale di compagnie come Abbondanza/Bertoni o Twain.

 

Ma partiamo dalle dimissioni dei tre membri della Commissione Prosa. Fino al 19 giugno la Commissione, presieduta da  Alessandro Massimo Maria Voglino, era formata da 7 componenti: Marco Lepri, vicino alla Destra e amico di Federico Mollicone, presidente della Commissione Cultura alla Camera e fedelissimo di Giorgia Meloni; Luigi Rispoli, dirigente di Fratelli d'Italia, noto alle cronache per aver associato Elly Schlein alla donna di Neanderthal; Giampaolo Savorelli, unico con un passato da direttore artistico (a Verona) e amico di Gianmarco Mazzi, il sottosegretario che ha ironizzato sui “bei monologhi teatrali”, mal digerendo la direzione artistica di Stefano Massini e la fine dell'era Giorgetti alla Pergola; Angelo Pastore, designato dalla Conferenza delle Regioni e con una solida  conoscenza del mondo teatrale; Alberto Cassani (Upi), da sempre attivo nelle politiche culturali, e Carmelo Grassi (Anci), con un bel bagaglio di esperienze teatrali alle spalle. Questi ultimi tre sono stati costretti a dimettersi per «l'impossibilità di costruire un percorso condiviso ed equilibrato nella valutazione dei vari organismi teatrali richiesti». Che significa impossibilità di parare i colpi di chi vuole ad ogni costo affondare tutte quelle realtà prestigiose ma scomode, come La Fondazione Teatro della Toscana a cui erano stati assegnati 20 punti in meno rispetto ai 29 del triennio precedente, scendendo sotto la soglia minima necessaria per restare nella fascia dei Teatri nazionali. Naturalmente la reazione di Massini è stata immediata: «Sono schifato», ha detto presentando la nuova stagione in piazza della Signoria a Firenze. Nel frattempo è stato convocato proprio dal sottosegretario Mazzi per un incontro di cui non conosciamo ancora l’esito nel momento in cui scriviamo. Ma quei 9 punti sono magicamente spariti dai verbali, dove si parla, per il Teatro della Toscana, di un progetto “non valutabile”, ribadendo la mancanza dei requisiti necessari per restare nell'elenco dei Teatri nazionali. E tra le motivazioni viene indicato un programma “poetico, ma estremamente generalista”, “fortemente autoriferito”, come già evidente nella stipula del contratto di Massini che esclude ogni rapporto con il Direttore Generale. Non sarà proprio questo il punto?

 

Ma le sorprese non finiscono qua. Altri due Teatri nazionali hanno avuto un punteggio leggermente più basso rispetto a quello che era stato inizialmente concordato dalla Commissione integra, che nulla aveva avuto da ridire sui Teatri nazionali (quindi anche sugli Stabili di Torino, Roma, Napoli, Veneto): 1,70 punti in meno allo Stabile di Genova (26.50) e 4 punti in meno a Emilia Romagna Teatro (26), dove tra l'altro si sta giocando la partita della nuova direzione.

 

Ma nelle varie riunioni della Commissione non erano stati risparmiati attacchi ad alcuni Teatri della città di rilevante interesse nazionale – in cui dovrebbe confluire la Fondazione della Toscana dopo il declassamento – come il Metastasio di Prato (che ha avuto ben 5,2 punti in meno), il Teatro Due di Parma, Sardegna Teatro, Teatri di Bari, dove tra l’altro la condirezione artistica è stata affidata a Gianni Forte (già direttore della Biennale Teatro a Venezia), guarda caso tutti in Regioni amministrate dal Centrosinistra. Alla fine hanno avuto tra i 16 e 18 punti. Mentre sono stati aumentati i punteggi di teatri come lo Stabile d'Abruzzo (24), diretto da Giorgio Pasotti, e lo Stabile di Palermo (28), diretto da Valerio Santoro – in Regioni amministrate dalla Destra.

 

E vogliamo parlare del Quirino? Sono stati ammessi al finanziamento sia Quirino Srl (come Centro di Produzione), che finora ha gestito la sala romana, sia United Artists (come Teatro dalla città), di Roberta Lucca, attrice e moglie di  Geppy Gleijeses, che sarebbe la nuova proprietà del Quirino, e che nel frattempo avrebbe indicato come sala di riferimento il Teatro Greco di Roma. Bel pasticcio. Nell'elenco dei Centri di produzione, invece, spicca la penalizzazione di Ravenna Teatro, che passa da 31 a 25 punti, mentre fra i Teatri della città c'è la new entry del Teatro Menotti di Milano. E naturalmente largo ai teatri privati commerciali, dall'Arcimboldi all'Augusteo.

 

Intanto la Conferenza delle Regioni ha già fissato un incontro, il 9 luglio, per decidere se nominare tre nuovi membri della Commissione. Se è vero che dopo l'interrogazione parlamentare di Cecilia D'Elia al ministro Alessandro Giuli i verbali sono stati pubblicati, è anche vero che non corrispondono del tutto alle decisioni prese dalla Commissione quando era integra. Dunque, come avrebbero potuto i tre dimissionari approvare le carte? «Non ci è sembrato corretto firmare dei documenti quando non eravamo più in carica», racconta Angelo Pastore: «Prima di dimetterci abbiamo provato a dialogare con tutti i membri della Commissione, proponendo di abbassare il punteggio della Fondazione Teatro della Toscana, visto che Massini, nominato a gennaio, non ha avuto il tempo di dettagliare il programma per gli anni 2026 e 2027. Ma non si è voluto trovare un punto di incontro».

 

E a rimetterci, ovviamente, è il teatro, compresi i lavoratori. Non dimentichiamo che la premessa di tutto ciò che sta accadendo è scritta nel decreto di cui parlavamo all'inizio di questo articolo. Il primo a lanciare l'allarme era stato Massimiliano Civica, direttore del Metastasio di Prato, che durante la presentazione della stagione teatrale aveva diffuso un documento che rifletteva sul ruolo del teatro pubblico alla luce di quel decreto, che in sintesi invita i teatri a spendere poco e a incassare tanto, senza badare alla qualità. Questo significa inevitabilmente abbassare le paghe dei lavoratori, incrementare i prezzi dei biglietti e soprattutto spianare la strada al teatro commerciale, a discapito di quello pubblico, che invece andrebbe difeso come la sanità e la scuola. Le poltrone hanno sempre fatto gola, sia a destra sia a sinistra, ma stavolta arroganza e prepotenza sono davvero eccessive.

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