Cultura
17 luglio, 2025All'alba della Repubblica, tra il 1947 e il 1948, lo scrittore pubblica i suoi corsivi con il titolo "Calendario". Oggi un libro li riporta alla luce. Il diario notturno della democrazia appena cominciata
«Nel Luna Park politico italiano, il Partito Socialista rappresenta il Castello delle Sreghe: i piccoli partiti vogliono entrarci, sperano forse di riuscire a baciarsi al buio. Ma l'impresa non ha lesinato gli scherzi e i trabocchetti». «L’abbiamo sempre detto: troppi autori drammatici nel Fronte dell'Uomo Qualunque. E noi sappiamo bene qual è il difetto degli autori italiani. Divertono al primo atto, impensieriscono al secondo, cascano al terzo».
Dal 9 settembre 1947 all’11 maggio 1948 sulla prima pagina della Voce Repubblicana, il quotidiano del Partito repubblicano italiano (Pri), compare una rubrica senza firma con il titolo “Calendario”. Poche righe con un commento ironico sui fatti politici del giorno. In pochi conoscono l’identità dell'anonimo estensore: Ennio Flaiano. A riportare alla luce i suoi testi è Sara Battaglia, che ha curato per Luni editrice la raccolta integrale dei calendari di quasi ottant’anni fa. In una veste doppiamente inedita: inedita perché di fatto sconosciuti sono questi articoli che raccontano i primi mesi di vita della Repubblica, inedita perché sorprendente è la scoperta di un Flaiano che indaga nella vita politica, tra sedute dell'Assemblea Costituente, i partiti, il palcoscenico affollato di leader e di giornalisti dopo il ventennio fascista.
«Flaiano era stato portato al quotidiano del Pri da Antonio Calvi, vicedirettore e poi direttore del giornale, rinnovato nei contenuti e nelle firme», spiega la curatrice Battaglia. «La collaborazione si interruppe subito dopo le elezioni del 18 aprile 1948».
Un periodo decisivo per la storia repubblicana. In quei mesi si conclude il lavoro dell'Assemblea Costituente, si prepara l'elezione della prima legislatura, si fissano alleanze che dureranno decenni attorno al partito di governo, la Democrazia cristiana di Alcide De Gasperi, e al primo partito di opposizione, il Partito comunista di Palmiro Togliatti. Attorno a loro si compongono e si scompongono formazioni e leadership. Ma è un periodo importante anche per il trentasettenne Flaiano. Nel maggio 1947 vince il premio Strega con “Tempo di uccidere”, da lì a poco diventerà lo sceneggiatore di Monicelli, Steno, Lattuada, Risi e soprattutto Fellini. Sulla prima pagina della Voce Repubblicana dissemina le pietre preziose di questa stagione di mezzo, nei primordi della Repubblica che sono anche un momento d'oro per il giornalismo politico e per i giornali di partito. Flaiano anticipa di venti anni la rubrica di Fortebraccio su L’Unità (ma il comunista Mario Melloni, ex democristiano, sembra imitarne lo stile), di quasi trenta il “Controcorrente” di Indro Montanelli sul Giornale, per non dire degli attuali rubrichisti di prima pagina.
“Calendario” è il diario notturno della nascente democrazia italiana, di cui Flaiano coglie in modo precoce il disincanto, la disillusione, le miserie. Rivelandosi, in questo, un osservatore acuto della classe dirigente politica, il suo eterno macchiettismo che sopravvive alle svolte epocali e arriva quasi integro a noi. C’è la seduta dell'Assemblea Costituente disertata dai deputati: «La Costituente ha la ripresa difficile, non più di cinquanta deputati tra i banchi e altrettanti al buffet e nei corridoi. Ventisei non hanno risposto alla chiamata. Molti di costoro erano nei comizi a ricordare al popolo l'importanza del Par- lamento nella vita della nazione» (16 settembre 1947). «Molti sostengono che 556 deputati sono troppi. Noi invece proponiamo che questo numero venga raddoppiato. Così non potrà accadere in avvenire quel che è successo ieri mattina a Montecitorio: che la seduta è stata rinviata per mancanza di onorevoli» (17 settembre). Sembrano le cronache dei nostri giorni, con il Parlamento dimezazato e svuotato e i ministri che propongono come rimedio la settimana corta.
C'è la Democrazia cristiana, con il suo leader De Gasperi, con la Chiesa di papa Pio XII che sostiene il partito cattolico anche con le madonne pellegrine e le statue di Maria che piangono: «Viviamo in un'epoca in cui si verificano fatti soprannaturali. Domenica mattina alla Basilica di Massenzio una donna ha gridato al miracolo, sostenendo che l'onorevole De Gasperi si era mosso. Benché molti altri presenti abbiano attestato il fenomeno, le autorità mantengono al riguardo un prudente scetticismo e non escludono che si tratti di una illusione ottica» (17 febbraio). Dopo la grande vittoria elettorale del 18 aprile 1948 Flaiano dà del partito-egemone una definizione profetica: «La Democrazia cristiana non è un partito, ma uno stato d'animo. Essa dovrà governare tenendo conto di questo fatto» (un consiglio seguito poi da Silvio Berlusconi e oggi da Giorgia Meloni: più stati d’animo che partiti).
Ci sono i leader della sinistra, comunisti e socialisti, alle prese immancabilmente con le divisioni interne, le scissioni, l'analisi della sconfitta. «Dal settimanale di Luigi Longo, “Vie Nuove”, in data 25 aprile 1948, apprendiamo che il Fronte popolare ha vinto le elezioni. La cosa si spiega tenendo presente che il settimanale è andato in macchina il 19 aprile, quando l'euforia frontista era alimentata da molte speranze. Evidente- mente Longo non ha creduto di mandare al macero questa sua prova di ottimismo». «Lelio Basso non segue l'aurea massima di sentirsi responsabile dei propri errori, ma preferisce accollarli agli altri: al ceto medio, alle “donnette”, ai pavidi: a tutti coloro, insomma, ai quali intende chiedere il voto la prossima volta» (24 aprile). E anche tutto questo è di una certa attualità: basti pensare all’ultimo referendum, quello su jobs act e cittadinanza. Il socialista Basso è uno dei bersagli fissi di Flaiano: «Togliete le astuzie a Togliatti, gli slogan a Nenni, il buonsenso a Romita, e avrete Lelio Basso» (21 gennaio).
Anche se poi lo scrittore non smette di ricordare le macerie etiche e culturali del ventennio mussoliniano, i neofascisti al riparo sotto la Fiamma del Msi, con Giorgio Almirante: «Il fascismo aveva tra gli altri difetti quello di fare apparire estremamente intelligenti quei pochi gerarchi che si rifiutavano di saltare nel cerchio infuocato o di partecipare alle marce di Starace, alle gare di nuoto, o affettavano di bere il caffè in pubblico e di dare del “lei”. Si diceva di costoro che fossero dei geni» (27 novembre). Un po' come avviene oggi ad alcuni addetti alla cultura di Fratelli d'Italia, partito-erede del Msi. «Dietro la vieta retorica patriottarda dei “camerati” non v'è che la nostalgia della loro coscienza di delatori, di sicari, di avventurieri, di quel tragico carnevale che ha coperto l'Italia di rovine» (26 marzo). Il personaggio prediletto da Flaiano è il commediografo Guglielmo Giannini, fondatore e capo dell'Uomo Qualunque, oltre il 5 per cento e trenta deputati. Di Giannini Flaiano fotografa la ruota del pavone, quando si avvicinano i giornalisti: «L'altro ieri l'on. Giannini entrò a Montecitorio più elegante del solito, vestito di flanella grigia, cappello nero. I giornalisti che stazionavano nel Transatlantico non si accorsero nemmeno del suo arrivo. Sembra che così passi la gloria del mondo».
Chissà cosa avrebbe scritto del leader dei Cinque stelle Giuseppe Conte. Racconta lo sfrangiarsi del partito Qualunquista, tra correnti e trasformismi: «Si annuncia oggi una terza corrente che avrebbe per scopo di mettere la concordia tra il gruppo di Giannini e il gruppo Russo-Perez. Per domani è segna- lata una quarta corrente, che ha per scopo mettere la discordia tra i gruppi precedenti» (22 ottobre); «Un giornale della sera dà l'on. Tieri come candidato al dicastero delle Poste, ultimamente lo aveva dato come sottosegretario. Il postino suona sempre due volte» (5 dicembre).
Flaiano non risparmia neppure i compagni di partito e l'area laica e liberale. «Per ora, diremo che il generale Azzi. presiede un'Alleanza repubblicana. E perché non un partito? Risponde il gene- rale: “Siamo ancora alleanza poiché raccogliamo l'adesione di tutti i gruppi repubblicani a noi preesistenti o costituitisi dopo di noi per dissensi col Pri”». A leggere queste note si vede che il Terzo Polo e personaggi come Carlo Calenda, Luigi Marattin, Andrea Marcucci, non hanno inventato nulla. Ieri come oggi l'area liberal- democratica è impegnata in alleanze che non sono ancora partiti, progetti smisurati quanto l'ego di leader litigiosi e vanitosi per statuto. «I tempi che viviamo sono duri e bisogna perlomeno ringraziare il generale Azzi se riesce a portare una nota di leggiadro umorismo nella severità della lotta politica», conclude Flaiano. Per la cronaca Arnaldo Azzi, eletto deputato costituente con il Pri, traslocò nel 1948 nel Fronte popolare, senza troppe fortune.
Nel 1954 Flaiano racconterà le avventure del marziano a Roma, sceso con l'astronave a villa Borghese. Nel 1947 anticipa la figura del sindaco di Roma su Marte con il democristiano Salvatore Rebecchini: «Il sindaco Rebecchini ha rivolto ieri per radio un messaggio agli italiani di America. In Campidoglio si prevede che tra giorni rivolgerà un altro messaggio agli italiani d’Africa. Se avrà tempo, si occuperà anche dei curiosi problemi che rendono la vita romana così interessante per il turista e così malinconica per il cittadino. Ma comunque il sindaco Rebecchini si occuperà di questi problemi non prima di aver rivolto un messaggio agli italiani del pianeta Marte». Nell'anno 2025 del Giubileo è evidente che quel tempo per Roma, per i suoi cittadini e i suoi sindaci, non è ancora arrivato. Chissà quanti messaggi avrebbe potuto inviare Rebecchini, se avesse avuto
Instagram come il suo successore Roberto Gualtieri. Anche per questo il “Calendario” di Ennio Flaiano è il calendario del nostro presente e forse del nostro futuro. E i marziani restiamo noi.
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