Una storia senza fine è quella che riguarda i Bronzi di Riace. Dal loro ritrovamento, nell’agosto del 1972, è stato un susseguirsi di ipotesi su chi li avrebbe realizzati, chi raffiguravano e dove si trovavano prima di finire in mare. Tra polemiche e pareri contrastanti, persistono solo tre certezze: si tratta di capolavori originali creati in Grecia, sono due gli autori e si collocano tra il 460 e il 430 a.C.
Il luogo del recupero è sempre stato riferito a una nave travolta da improvvisa tempesta, con qualche dubbio: vicino alle statue non sono stati trovati resti del fasciame e del carico, anche se la particolare violenza di una burrasca poteva disperdere i rottami a miglia di distanza. Era anche possibile che vasi e altri reperti fossero stati individuati e portati via in precedenza. Già all’indomani della scoperta si erano accavallate supposizioni, ipotizzando la scomparsa di scudi e lance, se non di altre statue mancanti all’appello.
Quando furono completati gli interventi di restauro a Firenze, la perfezione estetica delle statue lasciò senza fiato: liberi dalle incrostazioni marine, apparvero due personaggi pronti ad essere ammirati in tutto il mondo. Definiti come “A” e “B”, rispettivamente l’uomo più giovane e quello più anziano, rivelavano una conoscenza del corpo umano così dettagliata da superare quella di famosi artisti rinascimentali, come sottolinea lo storico dell’arte Eugenio La Rocca.

La statua “A” immortalava un personaggio aitante, fiero, che conservava intatti le labbra socchiuse e i capezzoli in rame, denti d’argento, capelli lunghi a ciocche rifinite una per una; l’altra, priva di un occhio, presentava un atteggiamento più riflessivo e un modellato più morbido, con una linea posteriore che ricorda il moto ondoso: la muscolatura prominente del dorso si assottiglia per risalire sui glutei, diminuisce nell’incavo del ginocchio per sporgere nei polpacci. Risalgono entrambe a quel secolo che ha visto nascere il cosiddetto stile severo: dopo la vittoria greca sui Persiani nel 480 a.C. l’arte greca sembrò risentire del nuovo spirito eroico e la statuaria iniziò a produrre figure non più rigide, statiche, ma inserite nello spazio in modo organico. Era il preludio del “classico”, improntato al ritmo e all’armonia delle proporzioni.
I Bronzi in cerca d’autore scatenarono ricerche basate sulle affinità con manufatti coevi e su riferimenti letterari. Nei primi anni Settanta John R. Hale li identificava come Ermolico, un valoroso atleta e combattente, e Formione, generale di successo durante la guerra del Peloponneso. Si sarebbero trovati sull’Acropoli di Atene, dove si affollavano sculture di eroi, atleti, strateghi, spesso accoppiati fra loro, che i romani, a seguito della conquista (146 a. C.) saccheggiarono a sazietà. Durante il trasporto nella Capitale, un naufragio avrebbe lasciato i Bronzi sul fondale marino.
In seguito, W. Fuchs ipotizzò provenissero dal donario (una specie di ex-voto) degli Atenesi a Delfi per la vittoria di Maratona, opera del celebre Fidia e della sua scuola, al quale si riferiva pure Antonio Giuliano. Non mancarono invece coloro (Enrico Paribeni, Sandro Stucchi, fra altri) che optavano per una provenienza magnogreca, Locri Epizefirii in primis, che vantava l’eccellenza dello scultore Pitagora di Reggio. Era il bronzista citato da Plinio il Vecchio per essere stato il primo a riprodurre tendini e vene, trattando i capelli con più diligenza di altri. Come non pensare a lui di fronte al personaggio “A”?
Del resto, gli artisti viaggiavano tra Egeo, Ionio e Tirreno, e i più bravi erano richiesti ovunque per committenze pubbliche e private. Le grandi firme greche continuavano però a tenere banco. Nel lungo elenco di attribuzioni e congetture, va citato l’argomentato studio di Paolo Moreno, pubblicato nel 1998. Riferendosi ai “Sette contro Tebe”, la mitica e cruenta saga familiare, narrata dall’omonima tragedia di Eschilo, individuava le due sculture negli eroi armati Tideo e Anfiarao. Sarebbero usciti dalle fucine di Agelada e Alcamene per la città di Argo.
L’ultimo restauro, effettuato a Reggio Calabria, ha messo in luce particolari importanti: al personaggio più giovane l’imbracciatura per lo scudo sembra aggiunta, come l’elmo: la capigliatura aveva richiesto un lavoro lungo e particolareggiato che non si sprecava con una copertura; dunque, un re o un eroe trasformato in guerriero per formare un pendant con l’altra statua della medesima altezza (2 m circa): una coppia destinata a decorare qualche villa o monumento.

Il bronzo “B” era stato invece concepito come guerriero dall’inizio, perché la testa mostra una specie di cuffia sulla quale si doveva poggiare un elmo di tipo corinzio, terminante sotto la paranuca a ricciolo, ancora evidente in piccola parte. Inoltre, si è scoperto che anticamente era stato oggetto di un restauro.
Finalmente le due sculture, sottoposte a viaggi antichi e moderni, restauri, analisi e contro-analisi, sempre senza nome e paternità certa, potevano godere un po’ di pace sulle piattaforme antisismiche nel museo reggino. Invece, si trovano oggi protagoniste di un’avventura tinta di giallo. Ad aprire il nuovo capitolo è stata la ricerca effettuata dall’Università di Catania, in collaborazione con l’ateneo ferrarese, a seguito della tesi sostenuta e pubblicata da Anselmo Madeddu, medico e studioso di archeologia: i Bronzi provengono da Siracusa.
Sappiamo che le sculture erano state fuse a pezzi con la tecnica della “cera persa”, trattenendo all’interno i materiali refrattari che ne avevano costituito il modello. Le varie parti anatomiche, inserimenti di materiali preziosi e ornamenti, venivano assemblati in una fase successiva. Nel caso dei nostri eroi, le analisi dei materiali interni li collocavano in Grecia, mentre le recenti indagini rimanderebbero a terre differenti per le saldature dei perni, e precisamente le argille presenti alle foci dei fiumi siracusani Anapo e Ciane.
La nuova storia è stata subito collegata a quanto aveva sostenuto molti anni fa l’archeologo Robert R. Holloway: i due Bronzi, con altre statue, si trovavano inabissati a Brucoli (a nord di Siracusa). E aggiunse che furono trasportati e lasciati nei pressi di Riace da archeo trafficanti per una futura vendita clandestina all’estero. La tesi, tornata d’attualità, ha spinto alcuni testimoni locali, all’epoca molto giovani, a raccontare - con variazioni sul tema - che nel 1971 avevano assistito al recupero di grandi sculture, alcune delle quali sistemate su un’imbarcazione a parte.
È sicuro che molte opere d’arte divennero bottino di guerra e trasferite a Roma dal console Marcello quando conquistò Siracusa nel 212 a. C. Le navi erano talmente cariche, che non stupisce un naufragio nel vicino mare di Brucoli, anche se non sappiamo cosa avesse disperso. La pista siciliana coinvolge altri personaggi storici: soprattutto Gelone, vincitore sui cartaginesi nel 480 a. C., che rifondò Siracusa, aumentandone prestigio e ricchezza. Fonti antiche riferiscono che egli aveva rimesso il suo mandato di potere assoluto, ma il popolo rifiutò eleggendolo re, e gli dedicò dopo la morte una statua in nudità eroica mentre abbandonava le armi. Era un’eccezione perché gli ecisti non venivano ritratti nudi, a differenza di atleti, eroi e divinità. Al Bronzo “B” sarebbe stato affidato il compito di rappresentarlo, pure sulla scorta di una moneta commemorativa. La sua presenza con il compagno, nei tesori depredati a Siracusa fa comunque supporre che, per le saldature finali, le statue fossero arrivate qui “a pezzi”, ma si presume che un grande artista volesse seguire nello stesso atelier ogni fase della sua creazione.
Fabrizio Sudano, l’archeologo che dirige il Museo nazionale di Reggio Calabria, è perentorio al riguardo. «Siamo di fronte all’ennesima ipotesi», dichiara a L’Espresso. «I campioni prelevati vicino ai fiumi siracusani non sono stati confrontati con le terre originali, bensì con dati raccolti e pubblicati negli anni Novanta. Proprio per fare chiarezza in questo intricato campo, il Museo da poco ha acquisito tutte le sostanze estratte dall’interno dei Bronzi e, a breve, insieme alla ricostruzione dei vari restauri, sottoporremo campioni significativi a nuove analisi con le tecnologie più avanzate».
Del passato, il “non sapere” è il fondamento per la costruzione di infinite “verità”, sottolinea Pier Giovanni Guzzo, l’archeologo che seguì il recupero dei Bronzi a Riace per la soprintendenza calabrese. Lasciamo allora che un alone di mistero continui ad avvolgere queste sculture mirabili e apprezziamole per il loro valore intrinseco. Che sprigiona armonia e bellezza senza tempo.
