Cultura
24 luglio, 2025Una donna giapponese decide di farla finita. A Zurigo. E chiede aiuto a un’assistente al suicidio. Il testo della scrittrice giapponese, disturbante e provocatorio, per il Letterature Festival
L’albergo che Igarashi Kotone mi aveva prenotato non era male. La camera era provvista di vasca da bagno, letto enorme, finestra con splendida vista sul fiume e addirittura una graziosa kitchenette con tanto di ottima colazione inclusa. In yen costava più di centomila a notte, ma nel rendermene conto non rimasi particolarmente stupito, visto che spesso le persone che si apprestano a lasciare questo mondo smettono di badare al valore del denaro.
La richiesta da parte di Igarashi Kotone mi era giunta un paio di mesi prima. Al lavoro dissi che avevo bisogno di tornare dai miei perché mio padre doveva sottoporsi a un intervento chirurgico e presi una settimana di ferie. Le persone che, come me, svolgono un secondo lavoro come “assistenti al suicidio” non sono poche, ma io ho deciso fin dall’inizio di accettare incarichi solo da clienti privi di esigenze specifiche e che siano disposti a tutto pur di morire. Molti nutrono preferenze ben definite, quasi irrinunciabili, però d’altra parte io so che purtroppo è impossibile esaudire tutti i desideri. Ho un sacco di amici convinti che fare l’assistente al suicidio sia un buon lavoretto part-time, senza riflettere mi ripetono che quasi quasi vorrebbero provarci anche loro, ma in realtà non è per niente semplice. Una delle mie prerogative consiste nell’avere massimo rispetto per la morte del cliente, perciò mi preme mettere in chiaro fin dal primo momento che non è mai facile garantire una fine soddisfacente. Di conseguenza capita con una certa frequenza che il cliente di turno si senta abbandonato e trattato con freddezza. Ed è per questo che ho sempre preferito dare priorità a coloro che si limitano a chiedere di morire in un modo qualsiasi, soffrendo il meno possibile, e che considero inappropriati e pretenziosi sia richieste troppo singolari, sia il tentativo stesso di assecondarle.
Il messaggio che Igarashi Kotone aveva inviato sul mio account recitava: «Vorrei morire a Zurigo. Alle spese di viaggio, alla modalità e a tutto il resto provvederò io. Le chiedo soltanto di assistermi». Essenziale, diretto, sulle prime mi lasciò perplesso, indeciso se rifiutare o meno. Poi, un messaggio dopo l’altro, accertatomi che, tranne la precisa volontà di esalare l’ultimo respiro a Zurigo, non aveva altri desideri né aspettative nei miei confronti, finii per accettare.
Di solito la remunerazione per l’assistenza al suicidio è calcolata su base oraria (soprattutto in virtù del fatto che spesso le richieste dei clienti sono varie e numerose), ma stavolta mi accontentai di un compenso forfettario.
Il giorno dell’arrivo a Zurigo, dopo le tante ore di volo, mi doleva la schiena ed ero stremato. Lasciai la valigia in albergo e mi recai subito sul luogo dell’appuntamento, un caffè in riva al fiume, dove trovai ad attendermi Igarashi Kotone, grossomodo identica a quando ci eravamo visti in Giappone. Meno male, mi sentii sollevato. Assistere nel suicidio persone che si aspettano chissà cosa dalla morte può risultare oltremodo complesso. Mi rincuorò constatare che la mia cliente non sembrava per niente estasiata da quell’incantevole paesaggio sulla sponda del fiume. In Giappone, molti si illudono che andando in Svizzera e pagando una certa cifra chiunque possa usufruire dell’eutanasia, e spesso mi tocca spiegare con estrema pazienza che invece non è affatto così. Per fortuna Igarashi Kotone era bene informata e appariva assolutamente serena e tranquilla.
«Mia zia aveva un appartamento di proprietà qui in città» mi disse. «Attualmente non ci abita nessuno ed è pressoché vuoto, a parte un grande frigorifero che ho provveduto a far installare io stessa. Nel giorno stabilito andrò lì e assumerò dei sonniferi che mi aiuteranno a dormire profondamente. Però temo che solo con le pillole potrei anche sopravvivere, e perciò vorrei che lei mi chiudesse nel frigorifero dopo che mi sarò addormentata».
Provai un ulteriore sollievo. La modalità scelta era molto semplice e il rischio di essere arrestato minimo. Forse perché aveva colto il mio stato d’animo, Igarashi Kotone esibì un lieve sorriso e prese un sorso di caffè.
«Rinchiusa nel frigorifero, anche escludendo l’effetto del sonnifero» aggiunse, «credo che finirei per morire di asfissia. Ma, per sicurezza, forse converrà abbassare la temperatura al massimo, selezionando la modalità congelatore. Lei che ne pensa?».
«Direi che è un’ottima idea. Ha già predisposto i farmaci?».
«Sì, ne ho preparato una dose in grado di abbattere chiunque fino al giorno successivo».
«Perfetto. In ogni caso le lascio anche quelli che ho portato io, non si sa mai. Dopo che avrò provveduto ad assisterla desidera che mi accerti della sua morte prima di andare via, ha richieste particolari?».
«No, va bene così».
Evitai di chiederle come mai avesse scelto proprio quel posto per morire. Qualcosa mi diceva che preferisse non rispondere a troppe domande.
Poi occupai il tempo facendo qualche bagno al lago e dando un’occhiata ai libri in una vecchia biblioteca. Mancavano tre giorni alla data pianificata, e io e la mia cliente ci sentimmo unicamente tramite e-mail e messaggi per mere questioni pratiche, senza mai più incontrarci di persona.
La mattina della fatidica domenica scelta per il suicidio il cielo era sereno a perdita d’occhio. Presi il tram e mi diressi all’indirizzo che mi era stato indicato. Aprii la porta con la chiave affidatami al caffè in riva al fiume nel giorno del mio arrivo. In cucina non c’era niente, né il frigorifero né una credenza. E anche quella che sembrava la camera da letto era completamente vuota. Nel soggiorno, uniche presenze, Igarashi Kotone addormentata su una piccola coperta e un frigorifero di grandi dimensioni. In quella stanza senza neanche un tavolo, come preso dall’ansia di essere rimasto coinvolto in qualche crimine, sentii il ronzio del frigorifero che fendeva l’aria immobile. Al suo interno non c’era nulla, solo una lettera d’addio.
Caro Frigorifero Side by Side 800 litri Silver Grey modello X SCC-SK Takaido
Elettrodomestici,
quando mi hai detto che desideravi morire in Svizzera sono sprofondata in un abisso di disperazione. Poi, quando hai aggiunto che volevi ancora vivere dopo aver messo fine al nostro amore, ho tirato un sospiro di sollievo al pensiero che almeno non saresti scomparso da questo mondo. E, quando infine hai detto che sognavi di avvolgere nel tuo abbraccio il gelo della neve del Monte Cervino e non più il mio corpo, mi sono sentita pervadere da un senso di pace infinita. Perciò, ti supplico, uccidimi e permettimi di morire dentro di te. Diventerò tiepida neve tra le tue grandi pareti, neve calda con tanto di organi interni. Ti prego di accettare il mio amore, come fosse il mio ultimo bacio, io che non ho mai smesso di volerti bene e stare al tuo fianco.
Quest’appartamento era di proprietà di una mia defunta zia, ed è assai probabile che per molti anni nessuno si accorgerà della mia morte. Quando mi troveranno sarò già diventata neve dentro di te. Spero che fino ad allora sarà trascorso tantissimo tempo.
Addio. Non potrai mai sapere cosa ti ho scritto in questa lettera, perché non sei in grado di leggere, ma ci tengo ugualmente a dirti che ho voluto lasciare almeno un segno del nostro amore e della mia morte.
Presi in braccio la mia cliente e la adagiai pian piano nel frigorifero. Accoccolata lì dentro, immobile e con le palpebre chiuse, sembrava una bambina. Le sistemai un po’ i capelli con la mano e chiusi lentamente le ante del frigorifero. Era in modalità congelatore, gelido da far rabbrividire all’interno e un po’ tiepido sulla superficie esterna, scosso da un lieve e ininterrotto tremore.
Chiusi la porta dell’appartamento dando fino all’ultima mandata, lasciai cadere la chiave nella cassetta della posta e uscii all’aria aperta. Diedi un’occhiata all’orologio e mi resi conto che era ancora mattino presto. Si annunciava un’altra giornata calda. Avevo a disposizione più di ventiquattr’ore prima del volo di rientro in Giappone, perciò pensai di approfittarne per fare un altro bagno al lago. Mentre guardavo la mappa della città mossi un passo e avvertii uno scricchiolio sotto la suola. Spostai il piede e, con mia grande meraviglia dato il caldo che faceva, scorsi un piccolo grumo di neve sull’asfalto. Sollevai adagio la gamba, scossi la caviglia e vidi cadere altra neve per terra. Quindi mi rimisi pian piano in marcia, percependo solo per un breve istante la sensazione di calpestare quella leggera spruzzata bianca che andava sciogliendosi, e poi continuando a sentire null’altro che lo stormire delle foglie sugli alberi ai lati della strada.
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