Cultura
31 luglio, 2025Il diritto di dissentire. I film cult “Wall Street” e “Platoon”. L’impegno politico contro Trump e per la pace. E ora un nuovo film, “White Lies”. “Resto orgogliosamente americano”
Il regista premio Oscar Oliver Stone si racconta, senza filtri: dalla sua carriera da cineasta di film cult come “Wall Street”, “Platoon”, “Nato il quattro luglio” e “Ogni maledetta domenica” alla sua passione per le verità scomode, espressa attraverso opere discusse come “JFK - Un caso ancora aperto”, “W.” e “Snowden”. Dalle sue idee politiche spesso provocatorie che lo hanno reso un outsider, fino ai suoi lavori da documentarista militante su cui s’impegna da mezzo secolo.
Non poteva che essere premiato a un festival del documentario come il SalinaDocFest, in cui si è fatto accompagnare dalla moglie Sun-jung Jung, sposata nel 1996. Tra le novità, svela di lavorare da anni – oggi ne ha 78 – su un nuovo lungometraggio di finzione, “White Lies” con Benicio del Toro. Stranamente non sarà un film politico, ma un’opera «sulla vita, per quel che ne ho capito finora».
Partiamo con un bilancio: qual è stato il costo di essere un outsider?
«Le maldicenze di chi continua da anni a darmi dell’antiamericano. Non è vero, sono orgogliosamente americano, ho servito il mio Paese in Vietnam. Ciò non vuol dire che debba essere d’accordo con chi lo governa. Per il resto mi sono guadagnato con il tempo, e con l’età, il diritto di dissentire e dire la mia, e tutto sommato mi è andata bene. Sono ancora vivo, posso mantenermi senza baciare il c**o di nessuno, non mi sento obbligato da nessuno studio e nessuna nazione. Quindi immagino si possa dire che essere un uomo libero oggi può garantire comunque una vita buona e di successo».
Parlava dell’attuale governo americano.
«Non riesco a parlare in modo intelligente di Trump, perché non so cosa pensi, cambia idea così spesso che non sono neanche sicuro che lo sappia lui. La verità è che nessuno sa cosa accadrà nel nostro Paese, così come nessuno sa cosa succederà in Russia. Trump è un pazzo, ma ogni tanto dice delle cose, per cui va anche ascoltato. Francamente non ho mai visto tanto disordine nel mondo, ma voglio essere ottimista, secondo gli antichi greci il caos era un’energia divina. Oggi è molto pericolosa, ma spero che con il tempo porti a una guarigione, una cura, un qualche risanamento del mondo».
Di cosa ha paura oggi?
«Della guerra. Distruggerebbe tutto il bello che abbiamo costruito».
Intende una guerra nucleare?
«Ogni tipo di guerra. Io aspiro alla pace nel mondo, ma non la pace che vuole Trump, dove c’è sempre prima l’America, “America First” come ripete sempre. Non capisco perché non si riesca a essere tutti compagni, perché America e Russia non possano tornare ad andare d’accordo. Penso davvero che l’America abbia un grosso problema oggi, è troppo aggressiva verso gli altri Paesi. Pensiamo alle sanzioni, sono un orrore. Concepite come una sorta di punizione, prima o poi sanzioneremo tutti, è davvero assurdo».
Nel frattempo gli estremisti, specie di destra, dilagano in tutto il mondo.
«È terribilmente vero, gli estremisti corrono veloce, molto più dei moderati e pacifisti. Non c’è da stare sereni, dovremmo fermare gli estremisti, oggi più che mai. Anche quelli che non sembrano tali nel mio Paese, penso a John Bolton e a tutti coloro che hanno voluto la guerra contro l’Iran. Dal mio punto di vista i peggiori sono stati Jake Sullivan, Anthony Blinken, ma non mi è piaciuta neanche Hillary Clinton. Lo stesso Obama ha mentito su tantissime cose».
Prima ha detto che oggi non siamo liberi di parlare di Israele.
«Non capisco perché Trump sia alleato di Benjamin Netanyahu e lo supporti. Ha a che fare con i soldi e la politica, credo che tanti soldi a Trump provengano dalla lobby ebraica, molto forte negli Stati Uniti. A ogni modo, nessun uomo del Congresso si metterebbe mai contro Netanyahu, è una sorta di mafia. L’ho vissuto sulla mia pelle, nel 2003 feci il documentario “Persona non grata” (sul conflitto tra israeliani e palestinesi, ndr) e mi hanno massacrato perché parlavo di Palestina, Hollywood è andata su tutte le furie. Per fortuna avevo dei sostenitori e ho resistito. Però di queste cose non si parla ancora abbastanza».
Al SalinaDocFest è stato proiettato il suo film “Salvador”. Perché riteneva importante farlo vedere oggi?
«Perché il mondo è cambiato rispetto al 1986, ma molte cose sono rimaste uguali: come all’epoca non si poteva parlare di tanti temi, oggi non si può parlare liberamente di Israele. Le persone sono ancora spaventate nel dire la loro, invece questo film spinge a parlare. Spero non perderemo mai questa nostra, fondamentale, libertà di parola».
“Salvador” fu il suo primo lavoro come regista.
«Ricordo quanto lottai per farlo distribuire, era così radicale, crudo e violento che nessuno lo voleva, ha tuttora un impatto molto forte. Si nota l’atteggiamento del giovane regista che cerca di infilarci dentro tutto quello che può, perché non sa se gli capiterà di rifare mai un altro film. Però sono molto fiero di questa mia opera “arrabbiata”, ai tempi ricordo che del Vietnam si parlava tanto, mentre di quello che accadeva nell’America centrale nessuno diceva niente. La gente scompariva e nessuno faceva nulla. La situazione in Salvador era assurda, giornalisti e dissidenti venivano torturati e uccisi, era molto brutale, e nessuno sapeva. Ho un debito di gratitudine verso Richard Boyle che ha rivelato tutto questo. Ricordo anche che andammo al governo di Salvador mentendo spudoratamente».
Ovvero?
«Raccontammo che gli elicotteri e i carri armati ci servivano per girare la loro versione, in realtà volevamo raccontare la versione dei rivoluzionari».
Il piano funzionò?
«No, lo scoprirono e il nostro consulente mandatoci dal governo fu pure ammazzato. Ma noi riuscimmo a sopravvivere e a portare a casa il film, che resta attuale anche date le forze della dittatura e della repressione tuttora esistenti. Ci tenevo a ricordare questa storia e questo film, perché io morirò e sarò sepolto, ma le mie storie no».
Farebbe mai un documentario sul fentanyl, la “droga degli zombie”?
«Non credo, è uno dei tanti fenomeni che accadono nel mondo, le droghe sintetiche sono sempre esistite».
Ma questa provoca 200 morti al giorno solo in America.
«Stiamo sempre attenti ai dati, a chi li fornisce, al perché lo fa. Il mondo è pieno di fake news. Non dico che questa lo sia, ma ecco, stiamo attenti sempre».
Ha pubblicato l’autobiografia “Cercando la luce” (La Nave di Teseo). Scrivere era il suo grande sogno?
«Sì, ho sempre amato scrivere. Ho sempre tenuto dei diari e a 19 anni scrissi il mio primo libro, una sorta di memoir trasfigurato in un dramma greco un po’ scandaloso. Avevo due genitori molto forti, mio padre e mia madre erano bei personaggi, quasi da film, quel libro era il mio modo per tirare fuori la rabbia verso i miei, un po’ come stanno facendo oggi i miei figli con me. Eppure me lo rifiutarono tutti, nessuno volle pubblicarlo. Ero così disperato che pensai di farla finita. Per questo andai in Vietnam, per cercare la morte in guerra».
Con il successo di “Platoon”, più avanti, realizzò il sogno di diventare regista.
«Se ripenso alla mia carriera, anche nei suoi momenti più alti, è stata un’Iliade, piena di battaglie e controversie. Forse a 80 anni inizierà l’Odissea e il mio ritorno a casa, chissà. Woody Allen e Steven Spielberg sono stati bravi a portare sullo schermo le loro vite, ci voglio provare anche io».
Lungo la sua carriera ha conosciuto tantissimi artisti, chi sente di voler ricordare?
«Val Kilmer, morto troppo giovane. Ha sofferto tanto, e ha messo tutto il dolore nel lavoro. Un artista unico, particolare, straordinario, mi manca molto. Ma voglio anche ricordare Michael Madsen, anche lui scomparso troppo giovane. Non sembra, ma gli attori vivono una vita che può essere molto dura, io invece vivo una vita morbida (dice: “soft”, ndr) e spero di vivere altri cento anni».
La preoccupa l’avvento dell’intelligenza artificiale?
«A me piace, mi pare soddisfi diverse fantasie creative. Confesso di non essere consapevole di tutti i suoi utilizzi e i suoi rischi nel dettaglio, ma quanta parte del mondo la utilizza già, al di là del cinema? Pensiamo ai dottori, ai dentisti, ai macchinari negli ospedali, l’avanzamento tecnologico a livello medico sta contribuendo a farci vivere una vita migliore e più lunga. Diverso è il discorso sulle fake news, video finti creati artificialmente a tavolino possono diffondersi con più facilità e rapidità, ma a ben rifletterci è sempre stato così, anche prima dell’intelligenza artificiale. Intendo dire che la propaganda politica c’è sempre stata, sotto altre forme. Sembra una minaccia nuova, ma non lo è».
Perché fare un cinema politico la interessa sempre tanto?
«M’interessa raccontare verità scomode attraverso i documentari e a far luce su casi importanti nella finzione. Dei miei film credo che “W.” sia il più sottostimato, eppure raccontava l’America, il fondamentalismo, anche quello cristiano: l’America usa spesso la morale e la cristianità nel nome della libertà e della democrazia. E da allora a oggi non è cambiato nulla».
Segue una religione?
«Sono stato cresciuto come episcopale, oggi pratico il buddismo. Non ho detto che sono buddista, ma che lo pratico».
Nel suo cuore resta ateo?
«No, sono un credente».
Un credente e un combattente: qual è la battaglia più dura che ha mai combattuto?
«Quella con me stesso».
L’ha vinta?
«È una battaglia che non si può mai vincere, solo bilanciare. Ma dovrebbe chiedere a mia moglie, mi conosce meglio di me stesso. Le donne ne sanno sempre di più».
Governassero le donne il mondo andrebbe meglio?
«Non credo, pensiamo a Golda Meir, ex primo ministro israeliano, una guerrafondaia. Nelle dinamiche di potere le donne per emergere provano a mostrarsi più forti e feroci degli uomini, quindi più bellicose. Penso al Partito Verde, un tempo lo stimavo, era un partito di pace, ora mi sembra pieno di gente che vuole la guerra, ed è guidato da una donna».
Rimpianti ne ha?
«Chi non ne ha? Ma sono uno che pensa al fare. Ci tengo ancora molto al mio lavoro, vorrei scrivere un finale di carriera come si deve, e poterne essere orgoglioso».
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