Cultura
31 luglio, 2025La nuova opera del progetto Arteparco è un omaggio a uno dei simboli dell’Abruzzo. E ci ricorda che la Natura è degli animali
Da Ca’ della Ghironda che sta tra i colli bolognesi e l’appennino Tosco-Emiliano, alla Fattoria di Celle immaginata e fondata dal visionario Giuliano Gori vicino a Pistoia; dal Giardino Museo di Seggiano dove Daniel Spoerri ha esposto decine di opere sue e dei suoi colleghi al sistema museale di Arte nella Natura nella Valle del Treja a Calcata, fino al laboratorio creativo di Arte Sella nell’omonima valle del Trentino e a decine di altri, i parchi d’arte contemporanea sono diventati un’eccellenza in Italia, Paese in cui i musei che la espongono invece ancora faticano ad attrarre il grande pubblico.
È un sistema affascinante per avvicinare i tantissimi amanti della natura all’arte contemporanea. Il progetto più interessante di questi ultimi anni riguarda uno dei siti naturalistici più antichi e noti d’Europa, un luogo magico in cui l’arte non è protagonista come negli esempi citati, ma si insinua discreta: il Parco Nazionale D’Abruzzo, Lazio e Molise è uno dei migliori esempi mondiali di conservazione di flora e fauna e dal 2018, tra montagne e valli selvagge, foreste, praterie, fiumi, torrenti, laghi, ospita l’iniziativa ideata da Paride Vitale Arteparco.
Ogni anno un artista viene invitato a confrontarsi con le Foreste Vetuste, riconosciute nel 2017 patrimonio Unesco: Marcantonio, Matteo Fato, Alessandro Pavone, Sissi, Valerio Berruti, Accademia di Aracne e megx hanno già creato opere permanenti che oggi si possono incontrare durante le escursioni. Da pochi giorni è invece arrivata “Stasis” di Velasco Vitali (Bellano, 1960): il tronco grezzo e semi lavorato di una quercia si trasforma in una colonna naturale, sormontata da un capitello decorato con foglie d’acanto. In cima, un lupo appenninico sul chi va là, pronto a dirci che quel luogo è sorvegliato. E non è nostro.
Da sempre Vitali lavora sulla figura del cane, del randagio, come metafora degli esseri umani. Perché anche noi siamo incroci di storie e culture diverse. E anche noi viviamo grazie al “branco”, grazie a una società alla quale però, a differenza del lupo appenninico, forse portiamo poco rispetto e attenzione.
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