Cultura
13 agosto, 2025Un archistar assiste al crollo di una sua creazione. Mentre sua moglie chef raggiunge il successo. L’attore britannico nella commedia romantica e nera che rivisita il film del 1989. “Bisogna prendere sul serio la comicità”
Sullo schermo è stato Sherlock Holmes, Julian Assange e Alan Turing, spopolando tra i più giovani con il suo “Doctor Strange” nei blockbuster supereroici targati Marvel. Figlio d’arte degli attori britannici Wanda Ventham e Timothy Carlton Cumberbatch, l’attore due volte premio Oscar Benedict Cumberbatch, 49 anni, recita dal lontano 1998, anno in cui iniziò la carriera teatrale. La sua esperienza pluridecennale sul palcoscenico si vede tutta anche nel nuovo film di cui è protagonista “I Roses”, diretto da Jay Roach, dal 27 agosto al cinema, specie nei dialoghi al vetriolo con la partner di scena Olivia Colman. Rivisitazione del cult dell’89 “La guerra dei Roses”, tratto dal romanzo di Warren Adler, diretto da Danny DeVito e interpretato da Michael Douglas e Kathleen Turner, lo vede nei panni di un archistar che assiste al crollo disastroso della sua ultima creazione davanti ai suoi occhi, e soprattutto ai cellulari, di tutti. In piena crisi saprà reinventarsi padre modello, ma non gli sarà facile stare a guardare l’ascesa al potere e il successo di sua moglie chef. E il loro matrimonio di amore e complicità si trasformerà presto in un competitivo duello, dialettico e non solo, all’ultimo sangue.
Una commedia che parte romantica e diventa nerissima.
«Bisogna prendere la comicità più sul serio e essere meno seri con le cose serie, a volte. Questo film è un dono per un attore perché consente di esplorare con la massima autenticità la più vasta gamma di emozioni possibili, dal romanticismo al rancore, dalla risata al dramma. Non è così comune trovare un film del genere, anzi direi che è piuttosto straordinario».
Era fan del film originale?
«Un super fan, e anche Olivia lo era. Il progetto è partito da noi, dalla nostra voglia di lavorare insieme. Siamo amici da tanto, ci seguiamo e stimiamo nei rispettivi lavori, non vedevamo l’ora di fare qualcosa di bello insieme. Ed eccoci qui».
La verità: si è divertito di più nella parte più romantica o in quella più cinica?
«È sempre bello essere lasciati liberi di potersi comportare male, non è vero? A me diverte sempre, ecco perché mi vedete spesso in personaggi oscuri. Amo la creatività anche quando si piega all’invettiva, alla crudeltà, alla freddezza. Anche quelle sono emozioni da raccontare. E poi è molto liberatorio».
Cosa la guida nella scelta dei personaggi, oggi che non ha più bisogno di dimostrare chi è e tutto il mondo la conosce?
«Cerco sempre personaggi tridimensionali, e mi impegno nel tentativo di mantenere ogni momento in cui li interpreto il più autentico possibile».
Paure ne ha?
«Solo quella di cadere involontariamente in opere insignificanti. Anche in questo caso ci tenevo che non fosse una commedia sciocca, ma fortemente ancorata al reale».
Lo è, specie quando racconta come, se è la moglie a fare carriera e avere successo, divampino i problemi in famiglia.
«Con Olivia ne abbiamo parlato a lungo e concordiamo sul fatto che non è assolutamente una questione di genere».
No?
«I nostri personaggi sono due persone che affrontano cambiamenti enormi e mandano all’aria un ideale importante come il loro matrimonio per le proprie ambizioni, finendo per perdere di vista la cosa più importante che hanno. Potrebbero benissimo essere una coppia dello stesso sesso, la storia non cambierebbe».
Ne è sicuro?
«Ma sì, ci interessava soprattutto raccontare come, in mezzo a tutto il caos della vita, ai cambiamenti estremi, alle preoccupazioni per la carriera e alle sfide da affrontare, una coppia smarrisca la propria complicità e smetta di funzionare come aveva funzionato fino a quel momento. E diventa altro».
Ad esempio una coppia piena di rancore reciproco.
«Quando le cose non vanno il risentimento purtroppo cresce, è inevitabile, capita a tante coppie. L’errore è di pensare di sopportare e tollerare in silenzio i cambiamenti, piuttosto che dire chiaramente: “Senti, io ho un po’ un problema con il fatto che tu sia sempre fuori per lavoro mentre io mi occupo della casa da solo o da sola. Ti amo, ma mi sento come se fossi completamente abbandonato o abbandonata”».
Non comunicare bene nella coppia può portare alla catastrofe?
«Assolutamente. Così come non concordare il modo con cui crescere i figli, altro errore che entrambi i nostri personaggi nel film fanno perché sono troppo presi da loro stessi».
Con Colman avete iniziato a girare “I Roses” da grandi amici, a fine riprese riuscivate ancora a guardarvi negli occhi?
“No, a dire il vero. All’inizio ci divertivamo un sacco, facevamo battute, ridevamo. Piano piano l’umore è diventato sempre più buio e io ero preoccupato, ogni tanto le dicevo: “Potremmo tornare ad essere quelli di prima?”. Per fortuna ci siamo riusciti».
Dovesse dare un consiglio a una coppia come quella che interpretate?
«Investire su una tata e non perdere di vista l’altro, usare lo spazio non solo per prendere posizione ma per riconnettersi».
Che cosa aggiunge questo personaggio alla galleria di quelli che ha brillantemente interpretato finora?
«Ho sempre amato variare e cimentarmi con i ruoli più diversi. Penso che si possano disegnare molti diagrammi di Venn con i vari aspetti dei miei personaggi, chi è super intelligente, chi più cerebrale, chi un po’ sociopatico, persone comuni che lottano per far funzionare le cose e sbagliano, o magari persone con oscuri segreti che li consumano. In questo personaggio di “I Roses” c’è qualcosa che ammiro molto, la sua schiettezza e la sua intelligenza emotiva. È bravo ad articolare i suoi sentimenti, ma non a risolvere i conflitti È uno che ci prova, ma mai nel modo giusto. Racconta bene uno spaccato su chi e come siano gli uomini oggi».
Le fa più piacere essere ricordato per gli spettacolari film sui supereroi Marvel o per film come questo, più autoriali?
«Mi fa piacere che al cinema ci sia ancora spazio per entrambe le tipologie. Ritengo che aver portato i fan dei blockbuster ad apprezzare il cinema d’autore sia un gran risultato».
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