Cultura
23 settembre, 2025Una famiglia quasi perfetta. Un delitto senza movente. E un criminologo senza risposte. “Elisa” trasforma in cinema un caso di cronaca
"Elisa" di Leonardo Di Costanzo, Italia-Svizzera, 110’
Una donna che ha ucciso e un criminologo che deve farle tornare la memoria, senza obblighi né promesse di redenzione, perché il lavoro della memoria ognuno di noi deve farlo da solo. Non è tanto un punto d’arrivo, è piuttosto un punto di partenza. Ma, come capiremo solo alla fine, riguarda al tempo stesso tutti e ciascuno di noi.
Il nuovo film di Leonardo Di Costanzo, già straordinario regista di “Ariaferma” “L’intervallo”, “L’intrusa”, è tutto in questo apparente paradosso. Detenuta in Svizzera in una sorta di carcere modello senza sbarre ma con casette nel bosco e telecamere ovunque, Elisa (una straziata, straordinaria Barbara Ronchi), dieci anni prima ha ucciso sua sorella e ne ha bruciato il corpo, ma non ricorda più nulla. O forse non vuole ricordare. Il professor Alaoui (un controllatissimo Roschdy Zem) deve aiutarla a ripercorrere il passato. Un percorso pericoloso perché dietro quel delitto c’è una complessa storia di famiglia. Ci sono un padre molto accudente (Diego Ribon), che ancor oggi viene a trovarla regolarmente; una madre che non ha mai amato Elisa né ha fatto nulla per nasconderlo (Monica Codena); una casa in vendita e un’azienda di famiglia con contorno di obblighi, ruoli, pesi non richiesti (scritto con Bruno Oliviero e Valia Santella, “Elisa” deriva da un caso autentico raccontato nel libro di Adolfo Ceretti e Lorenzo Natali, “Io volevo ucciderla”).
Il contesto è complesso e tra flashback e comprimari l’avvio magari è un po’ faticoso. Anche perché tutto si iscrive in un dibattito più ampio sui concetti di colpa e giustizia riparativa. Compare la celebre foto di un linciaggio nell’America razzista degli anni ‘20. Mentre la madre di un ragazzo ucciso da una banda di balordi (“cameo” di Valeria Golino) rifiuta l’idea stessa di espiazione. E un poliziotto sensibile, Giorgio Montanini, non smette di chiedersi come quella giovane così composta possa essere un’assassina.
Una volta messi i pezzi sulla scacchiera, però, “Elisa” decolla grazie ad alcune idee di puro cinema che concentrano in poche immagini molte pagine di sceneggiatura, come dovrebbe sempre accadere. Pensiamo alla scena in auto, a quella strada tortuosa che porta al carcere (alla memoria), al ribaltamento improvviso con cui di colpo Elisa distoglie l’obiettivo da se stessa per puntarlo idealmente sul criminologo. Anche lui, forse, deve scavarsi dentro, per chiarire a se stesso e a lei il senso del suo lavoro. Dietro il delitto non c’è una “soluzione” che riporta l’equilibrio, come nei gialli classici. C’è un mondo ormai fuori controllo. Finale aperto insomma. Il resto tocca a noi.
AZIONE! E STOP
C’è almeno una ragione per non perdere il fragoroso cupio dissolvi di Maresco, “Un film fatto per Bene”. Il liberatorio, definitivo sberleffo indirizzato a uno dei peggiori programmi Rai di tutti i tempi. Peraltro riverito e frequentatissimo per lunghi anni da tanti bei nomi. Il titolo scopritelo da soli. Al cinema.
Bene i festival. E le sale? Finita Venezia, consegnato il premio Lizzani a esercenti valorosi di Venosa, cioè Potenza (cinema Lovaglio) e Pordenone (il glorioso Cinemazero), risorge la fatidica domanda. E poi? Quanti cinema chiuderanno nei prossimi mesi? Quanti ne riapriranno? Urge censimento. I festival si preparino al sorpasso.
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