Cultura
23 settembre, 2025La trama, le modalità di candidatura, le pellicole scartate: come è avvenuta la selezione del comitato dell'Anica
Sorpresa: il film che tenterà di rappresentare l'Italia agli Oscar è “Familia”, seconda regia di Francesco Costabile, ispirato al libro autobiografico di Luigi Celeste. “Tenterà” nel senso che ogni Paese designa il proprio candidato ufficiale nella categoria miglior film internazionale. Tra tutti questi l'Academy of Motion Picture Arts and Sciences elegge una shortlist di 15 titoli, da cui in seguito emerge la cinquina dei finalisti. L'anno scorso, per esempio, il candidato italiano era “Vermiglio” di Maura Delpero, che entrò nella shortlist ma non in cinquina. “Familia” magari avrà più fortuna, ma certo si tratta di una scelta inaspettata.
Il comitato di selezione istituito dall'Anica, composto da 9 professionisti di diverse categorie i cui nomi vengono svelati solo a cose fatte, doveva infatti vagliare ben 24 titoli autocandidatisi, tutti usciti in sala fra il 1° ottobre 2024 e il 30 settembre 2025 (sul concetto di “uscita” si è sempre discusso parecchio, molti film passavano in sale di provincia come meteore solo per poter concorrere, ma andiamo oltre). La tendenza a moltiplicare i film papabili, almeno sulla carta, sembra infatti inarrestabile e si può capire. La spesa è minima, l'effetto promozionale garantito, quantomeno a livello domestico, anche per i film che hanno scarse possibilità di imporsi. Il tutto genera anche parecchia confusione, ma questo è un'altro discorso.
I film esaminati
Nel 2024, per dire, furono 19 i film sottoposti al vaglio dell'Academy. Nel 2023 erano “solo” 12 (la spuntò “Io, capitano” di Matteo Garrone, che poi arrivò in cinquina). Quest'anno i 24 titoli esaminati spiccavano per la loro estrema eterogeneità tematica, estetica, produttiva. C'erano grandi autori da festival come Mario Martone con “Fuori” (bellissimo, ma abbastamza incompreso da una stampa internazionale sempre più distratta), e campioni d'incasso facili come “FolleMente” di Paolo Genovese, “Diamanti” di Ferzan Ozpetek o “Il ragazzo dai pantaloni rosa” di Margherita Ferri. Nuovi e nuovissimi nomi come quello di Paolo Sossai di “Le città di pianura”, scoperto a Cannes, praticamente un esordiente, una delle grandi rivelazioni della stagione in corso; o il duo Cassigoli e Kauffman (“Vittoria”), alfieri di un cinema a cavallo tra verità e finzione, magari non da Oscar ma molto consapevole, originale, modernissimo.
In pista anche un pugno di reduci dall'ultima Venezia: “Duse” di Pietro Marcello, cinema d'autore ma in costume; “Elisa” di Leonardo Di Costanzo; “Sotto le nuvole” di Gianfranco Rosi. E poi ancora “Le assaggiatrici” di Silvio Soldini, “Berlinguer - La grande ambizione” di Andrea Segre, “Hey Joe” di Claudio Giovannesi, “L'orto americano” di Pupi Avati, “Napoli-New York” di Gabriele Salvatores, unico Oscar del gruppo con “Mediterraneo”. Eccetera.
Scegliere uno tra tutti questi titoli non dev'essere stato semplice. Molte, forse troppe le anime a confronto, in un cinema sempre ricco di nomi e di opere, ma spesso povero di identità o almeno di riconoscibilità internazionale. Puntare su “Familia”, storia vera e urticante di rivolta contro un padre violento fino a essere "irrecuperabile", significa appunto questo. Privilegiare un tema forte e molto condiviso come la violenza di genere. Veicolato da un film solido e non esattamente sottile, che ha il pregio di parlare chiaro e forte ma usa un linguaggio antico, squadrato, spesso semplificatorio.
Pagherà, questa scelta, su un terreno scivoloso come quello degli Oscar? Può darsi, anche se a scorrere vincitori e candidati di questi anni nella categoria miglior film internazionale, qualche dubbio sembra legittimo. Quest'anno, ad esempio, ha vinto “Io sono qui” di Walter Salles e tra gli sfidanti c'erano operazioni sofisticate come “Emilia Perez”, l'iraniano “Il seme del fico sacro”, il bellissimo film d'animazione “Flow”. L'anno prima vinse “La zona d'interesse” di Jonathan Glazer, e in cinquina, oltre a “Io capitano” c'erano il turco-tedesco “La sala professori” e “Perfect Days” di Wenders. Tra gli italiani i titoli di grande ambizione (“Fuori”, “Duse”, “Le città di pianura”, “Sotto le nuvole”...) non mancavano. Forse la commissione avrebbe potuto osare, e sognare, di più.
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