Cultura
6 settembre, 2025Il regista siciliano ripercorre il suo lavoro dai tempi di “Cinico Tv”. Prendendosela con le proprie nevrosi, ma anche e soprattutto con ciò che è diventato il cinema italiano
Chi si rivede, è risorta Cinico Tv. Tornano i corpi sfatti, i personaggi oltraggiosi, le processioni che citano Pasolini ma lo buttano in vacca, i pazzi che masticano un palermitano impastato col piombo e con l'asfalto delle stragi di mafia, “anche se all'epoca la nostra fu presa per satira”. E sì che era l'epoca di Tangentopoli e a bordo pista si scaldava Berlusconi.
Più che una resurrezione infatti è un funerale, o almeno una cerimonia degli addii. Un atto di morte presunta stilato da Franco Maresco, l'uomo che con Daniele Ciprì inventò quel modo geniale e irricevibile di fare televisione e poi cinema. Sulla carta era un'impossibile indagine su Carmelo Bene, “Un film fatto per Bene”, appunto, l'ultimo dei cinque titoli italiani in Concorso, già in sala in contemporanea con Venezia. Di fatto è la cronaca di una morte molto annunciata. Una lunga, furente, dolorosa, esilarante, ma alla lunga inconcludente invettiva contro tutto e tutti. A partire da se stesso.
Maresco infatti non salva niente e non risparmia nessuno. Detesta, e possiamo capirlo, ciò che è diventato il cinema in Italia. Ma ce l'ha anche con le proprie nevrosi, che deride in siparietti spesso irresistibili tra psichiatri e giornalisti, tassisti adoranti e produttori furiosi (appare ma soprattutto tuona fuori campo Andrea Occhipinti). In una lunga deriva sado-maso che prevede vessazioni multiple su complici e attori di ogni ordine e grado (un capitolo a parte è dedicato al povero Francesco Puma), ma si risolve in una desolata ammissione di impotenza.
Anche perché stavolta Maresco fa tutto insieme, ironicamente e compulsivamente. Si celebra, si esalta, si prende in giro, si autodemolisce, ma soprattutto analizza e storicizza il suo cinema sospettando che altrimenti non lo farebbe nessun altro (cosa non vera, per inciso). Tra santi e protettori, scudi e bersagli, echeggiano i nomi di Ed Wood e Ingmar Bergman, John Ford e Ficarra e Picone. Con la partecipazione speciale di uno dei suoi pochi veri compagni di strada, un Antonio Rezza con falce e mantello. E tanti saluti a Carmelo, di cui ogni tanto sentiamo la voce. Vera o rifatta da un imitatore insieme devoto e micidiale. Che però ha un merito: è autentico, cioè in carne e ossa, oggi che “l'onnipotenza della tecnologia regala un trionfo definitivo ai mediocri”.
Vedremo mai un vero film di Maresco su Carmelo Bene? Sarebbe bello ma temiamo di no. Intanto però c'è questo. Dedicato a Goffredo Fofi, uno dei nomi più citati e rimpianti in questi giorni a Venezia.
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