L'Italia è di nuovo nel mirino dei mercati. E Monti cerca aiuto disperatamente. In Europa, dove però la Germania non molla. E in Parlamento dove le riforme procedono al rallentatore

Prima il salvataggio delle banche spagnole con 100 miliardi di euro stanziati dall'Unione europea. Poi la fuga di notizie su un presunto piano di emergenza elaborato a Bruxelles per far fronte all'eventualità di una disgregazione dell'euro. Infine le tensioni politiche interne, tra conti che non tornano sugli "esodati" e schermaglie assortite sulla legge anticorruzione e sulla Rai. La sequenza degli eventi non faceva presagire nulla di buone. Il tanto temuto "effetto domino" si sarebbe potuto innescare da un momento all'altro: dopo Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna, i Paesi che finora hanno fatto ricorso agli aiuti europei, potrebbe toccare all'Italia. E il segnale che una nuova offensiva della speculazione è imminente è arrivato puntuale con l'asta dei Btp triennali di giovedì 14 giugno quando i tassi sono schizzati dal 3,96 per cento di maggio al 5,30 per cento.

Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e il presidente del Consiglio Mario Monti si sono resi conto che bisognava reagire. Sono consapevoli del rischio di un effetto domino al punto che non perdono occasione per ricordare che la situazione rimane difficile, che il peggio non è passato e che resta molto da fare nonostante i significativi progressi compiuti da novembre a oggi. Ma martedì 12 giugno la puzza di bruciato era fortissima. Così Monti ha deciso di comunicare ai segretari dei tre partiti di maggioranza che l'Italia sta correndo di nuovo un grosso rischio.

La situazione non è molto lontana da quella che nel novembre scorso ci ha portato a un passo dalla sottomissione al Fondo monetario internazionale: un piano di aiuti finanziari in cambio del commissariamento, ovvero di una cessione temporanea della sovranità. Allora i massicci impegni (riforma delle pensioni e una valanga di tasse) per mettere sotto controllo il deficit e il debito pubblico, oltre alla credibilità del nuovo governo e alle misure "non convenzionali" delle banche centrali, bastarono a evitare il peggio, arrestando l'impennata dei tassi d'interesse che i mercati ci impongono per comprare i nostri titoli di Stato. La tregua, però, è durata poco. Giorno dopo giorno sono diventate chiare due cose. La prima è che l'Unione europea non è solidale, ovvero che i Paesi più ricchi, ora e per molto tempo ancora, non sono disposti ad andare in soccorso di quelli in difficoltà come l'Italia. Al punto che la stessa costruzione dell'euro è in pericolo. Secondo, che l'Italia non può sfuggire alla sindrome greca: tassa dopo tassa, taglio dopo taglio, la recessione si aggrava e la prospettiva di uscire dalla morsa dell'austerità si allontana. Così i mercati hanno ripreso a "vendere l'Italia": titoli di Stato, con conseguente aumento dei rendimenti, e azioni, soprattutto delle banche.

Monti ha reagito spostando i riflettori: la prima urgenza, adesso, non sono più i conti pubblici ma la crescita. Il problema del debito resta, e la guardia non va abbassata (anche perché la pressione fiscale è altissima e solo con i tagli di spesa finora mancati si potrebbe abbassare). Però l'economia va rimessa in moto. Altrimenti l'avvitamento condannerebbe l'Italia a seguire il percorso degli altri paesi deboli. Un segnale che vale in due direzioni. Perché ai partiti e al parlamento il governo ha fatto sapere che le riforme, dal mercato del lavoro alla spending review, vanno esaminate e approvate in fretta, possibilmente dando all'esterno un senso di coesione da parte di chi le vota. E perché all'Europa Monti ha ricordato che l'obiettivo principale ora è la crescita. L'incontro con il presidente francese Francois Hollande di giovedì 14 giugno ha rilanciato l'asse Parigi-Roma che al Consiglio europeo di fine mese spingerà perché l'Europa prenda iniziative concrete per promuovere lo sviluppo. E l'Italia che, Grecia a parte, è la vittima più grave della recessione, ha bisogno di benzina più di ogni altro Paese.