Mezzo mondo è in recessione, ma l'industria del lusso aumenta vendite e utili. Da Armani a Zegna, da Louis Vuitton a Della Valle. Perché la forbice sociale è sempre più ampia (e non solo in Italia)
Fa sempre piacere sentirsi dire grazie, ma se chi ringrazia aggiunge 7 milioni di euro, il piacere sicuramente aumenta. Alla Zegna hanno fatto così: visto il bilancio 2011, e il fatturato che ha superato il miliardo di euro, il cda ha deciso di dare un premio di mille euro a ciascuno dei dipendenti del gruppo. Settemila persone.
Succede anche questo, chapeau, e molto altro, in quel pianeta del lusso che a volte pare collocato in un universo diverso, probabilmente parallelo, da quello dei mortali afflitti dall'Imu. E invece, altro che mondo a parte.
Le aziende del lusso sono qui e ora, coltello tra i denti nel mondo inferocito dalla crisi, e fanno scelte, studiano scenari, esplorano mercati, progettano strategie. Investono, inventano, ripensano. Soprattutto, guadagnano. Qualche caso di fatturato record, tra i moltissimi che si potrebbero citare: Giorgio Armani Spa, ricavi consolidati 2011 pari a 1.804,1 milioni di euro (+13,6 rispetto al 2010); Gruppo Ermenegildo Zegna 1.127 milioni di euro (+17); Prada Spa 686,7 milioni (dati primo trimestre 2012, +47,9 per cento, e utile netto a 121,7 milioni di euro, +111); Poltrona Frau Group 267,7 milioni di euro e utile netto più che quintuplicato rispetto al 2010.
Nel 2011, il colosso mondiale del lusso Lvmh ha registrato un incremento del 16 per cento nel giro d'affari, che ha raggiunto i 23,7 miliardi di euro; il fatturato è incrementato del 20 per cento nel quarto trimestre; gli utili operativi a 5.263 miliardi di euro sono aumentati del 22 per cento. Dati che al Ceo Bernard Arnault fanno dire: "Un'altra grande annata per noi. I nostri profitti hanno per la prima volta superato la soglia dei 5 miliardi di euro, e nel 2012 intendiamo ulteriormente rafforzare la posizione di leadership".
Alle aziende del lusso non è mai andata così bene, o quasi. "Si è verificato un fenomeno in controtendenza, se si considerano le difficoltà derivate dalla crisi economica mondiale", interviene Giorgio Armani. "I problemi economici hanno sviluppato nella gente maggiore consapevolezza in materia di qualità: oggi è disposta a pagare per il lusso, se autentico. Ha successo chi sa offrire la migliore qualità per produzione e innovazione. Il segreto dei nostri risultati? Chiarezza del messaggio estetico, precisa visione aziendale, coerenza. Il Gruppo cresce in Europa e Usa; il trend di forte sviluppo nei mercati asiatici continua, soprattutto in Cina dove i ricavi registrano un +45 per cento rispetto all'esercizio precedente. Puntiamo su un'espansione bilanciata, senza farci abbagliare da boom né fisiologiche flessioni".
"Le crisi sono davvero un'opportunità per chi lavora seguendo le regole. Che per il settore del lusso sono: mantenere l'esclusività, dare estrema qualità, restare fedeli al Dna del marchio". Non ha dubbi Diego Della Valle, presidente di Tod's: a ogni crisi, il suo marchio guadagna mercato. "La gente sceglie con più attenzione, investe su prodotti di lunga durata. Vuole sogno, qualità e servizio. Per questo non bisogna crescere troppo: si rovina la reputazione del marchio. Il consumatore rispetta gli specialisti, chi è capace di essere eccellente. Chi ha buoni fondamentali gestirà bene anche la crisi del mercato italiano. Certo, bisognerà aspettare almeno un paio di anni per rivedere buoni numeri, sicuramente non prima della seconda metà del 2013. Per noi il mercato americano è positivo, il Giappone suscita ottimismo, e buone notizie abbiamo dal Sudamerica, Messico e Brasile in particolare".
Le aziende che non conoscono crisi sono quelle che le crisi le usano: per cambiare strategie, concentrarsi sul proprio specifico, razionalizzare i costi. E guadagnare dalle debolezze dei concorrenti. "Le crisi servono a far pulizia: chi resta raccoglie i cocci di chi cade", commenta sereno Gildo Zegna, ad del Gruppo Zegna: "La peggiore, quella del 2009, l'abbiamo affrontata all'insegna del "cash is king": proteggere la cassa, controllare i costi, tagliare gli inventari. In 6 mesi abbiamo spostato risorse da Occidente a Oriente, peraltro già a maggio 2008 avevamo captato i primi segnali negli Usa, poi la crisi si è allargata a Giappone ed Europa. Oggi in Cina siamo il terzo brand per fatturato. Penso che a uscirne bene sarà chi oggi è forte in Usa e Cina: nei prossimi anni i gruppi che non hanno almeno il 20 per cento del fatturato in Cina avranno difficoltà".
Nel Gruppo seguire l'evoluzione dei mercati è una priorità: per il 2012 sono previste 50 aperture (un terzo in Cina ma anche Europa e America). Non si trascura l'Africa: per la prima volta vengono aperti negozi in Marocco e Nigeria. "Pensiamo anche a Tunisia, Angola, Sudafrica: quei clienti finora ci hanno acquistato in Europa, in futuro ci daranno soddisfazione lì. L'India sarà il mercato della prossima generazione, dei nostri figli e nipoti. Per ora ci sono poche infrastrutture e troppa burocrazia, ma saranno indiani e sudamericani i consumatori del 2020. Siamo in cento mercati, così abbiamo creato una scuola interna, la Zegna school, per formare persone da mandare nel mondo. E abbiamo spostato il cuore delle nostre Risorse Umane a Shanghai, per fare scouting lì". L'ultima mossa "cinese" di Zegna è stata la cooptazione di Jing Ulrich, direttore generale e presidente di JpMorgan Global Markets-China nel consiglio d'amministrazione, come consigliere indipendente. Per "Forbes" e "Fortune" è una delle donne più potenti del mondo. In azienda la chiamano "verticalizzazione": puntare al meglio, dai tessuti impiegati alle persone.
La Cina, la Cina, la Cina. Ruchir Sharma, a capo del Fondo per i mercati emergenti di Morgan Stanley, avverte nel nuovo saggio "Breakout Nations" che il Paese sta per affrontare una fase di rallentamento pericolosa per le economie che navigano sulla sua scia. Ma non c'è azienda a prova di crisi, a partire dal Gruppo Max Mara che aprì il suo primo negozio a Hong Kong nel 1987, che non investa fortemente su questo mercato. Quale altra nazione al mondo può offrire più di 100 città da un milione di abitanti? "L'85 per cento delle vendite in Brasile si fa a San Paolo, per l'India il 90 per cento tra Bombay e Dehli, in Russia contano solo Mosca e San Pietroburgo", interviene Michele Norsa, ad di Salvatore Ferragamo: "In Cina invece siamo presenti in 34 città, e in 10 anni faremo altre 20 aperture. Il lusso ha bisogno di un ambiente adatto per svilupparsi, e i cinesi hanno investito in infrastrutture. Il lusso si vende nelle 20 città più grandi del mondo. Indonesia, Nigeria, Messico, sono tutti potenziali mercati, perché dove ci sono grandi popolazioni ci sono grandi ricchezze individuali ".
Vietato dimenticare l'Italia, però. Perché il mercato interno è in crisi ma qui vengono a comprare gli stranieri, i turisti del lusso. A partire, manco a dirlo, dai cinesi: "Nel 2011 settanta milioni di cinesi hanno viaggiato: per piacere o per affari, comunque è gente che sa cosa vuole e quanto gli convenga comprare qui", prosegue Norsa. "Cosa li attrae? La chiarezza del messaggio di un marchio. Noi siamo premiati dall'essere concentrati su un solo brand, dal non avere seconde linee: siamo focalizzati sul nostro Dna. Gli stranieri ci riconoscono benissimo".
Controllare il messaggio che si vuole dare, comprendere con esattezza il proprio posizionamento e lavorare sulla coerenza, assicurarsi una struttura flessibile per reagire a possibili choc esterni: per Marco Bizzarri, presidente e ad di Bottega Veneta del gruppo PPR, è una delle chiavi di volta delle aziende che non conoscono crisi. "Nelle crisi non sono permessi errori, ogni scelta è come fosse l'ultima. Nel lusso soffre chi non ha posizioni chiare, rincorre trend, cerca scorciatoie. Il consumatore oggi compra meno ma meglio, prima di arrivare in negozio si è informato su Internet". Conferme statistiche: il 60 per cento delle persone che comprano off line ha visto on line il prodotto; 400 milioni di cinesi, sempre loro, sono regolarmente on line per più di 3 ore al giorno. "Per aziende come la nostra essere presenti sul Web è una scelta obbligata: si va verso un sistema integrato tra negozio fisico e store sulla Rete. In entrambi i casi vince solo la qualità: il made in Italy è una storia, non un'etichetta".
E i mercati di nuova ricchezza hanno bisogno di una storia. Lo sanno bene in una delle aziende leader del design, Poltrona Frau Group che comprende Poltrona Frau, Cassina, Cappellini, marchi che da anni scommettono sull'estero. "Il mercato italiano non ripartirà prima della fine del 2013, penso.
All'estero ci sono invece molti consumatori giovani, di benessere recente, disponibilità importante e prospettive di ricchezza. Hanno bisogno di qualcuno che gli spieghi cosa comprare, e perché", racconta Dario Rinero, amministratore delegato del gruppo.
"Noi gli diciamo che Poltrona Frau è nata a Torino nel 1912 e quest'anno compie 100 anni; che facciamo tutto a mano come un secolo fa, portiamo i nostri artigiani a Shanghai, a costruire nelle vetrine davanti ai loro occhi; che facciamo anche gli interni delle Ferrari, delle Jaguar, delle Maserati. Così stabiliscono un nesso, capiscono un contesto. Sono evoluti, hanno voglia di sapere. Negli anni Settanta bastava il made in Italy, poi si è parlato di Italian lifestyle, intendendo un gusto, oggi si apprezza l'Italian way of living: un portato d'italianità, le piazze, i paesi, trovarsi al bar la sera per bere un bicchiere. Non solo Firenze, ma i borghi sulle colline. Quando loro vengono da noi, vengono anche a scoprire l'Italia degli italiani. Non gli vendi un divano Chester, gli dai una rappresentazione. Gli offri una fascinazione".