Sono da sempre considerati i privilegiati del mondo del lavoro grazie ai loro contratti blindati. Ma negli ultimi anni, tra blocco del turn over e delle retribuzioni, la loro situazione è peggiorata. E i dati europei sfatano un mito: non sono affatto troppi

Tiziano è un quarantacinquenne con stazza da rugbista, gli occhi chiari e vivaci, la testa lucida come una palla da biliardo. Fa il dipendente comunale all’autoparco di Roma Capitale e rivela senza vergogna: «Cinque anni fa ho preso la decisione di tornare a vivere da mia madre. Per riuscire a galleggiare, per non colare a picco. Dopo 17 anni di lavoro da autista il mio stipendio tabellare netto è di mille e 80 euro al mese, compresi i 10 euro di indennità di vacanza contrattuale. Fortuna che sono single. I miei colleghi monoreddito, con famiglia a carico, sono quasi tutti in mano alle finanziarie». Il suo passato è un ricordo di colazioni al bar e di viaggi in auto casa-lavoro, coronati da un bel viaggetto in estate. Il presente è di ferie in città, di colazioni da mamma e di soli mezzi di trasporto pubblico.

Tiziano Di Nicola è uno dei 3 milioni e 282 mila lavoratori del pubblico impiego con il rinnovo contrattuale bloccato dal 2010, misura che è stata prorogata dall’ultima legge di stabilità fino alla fine del 2014. L’indennità di vacanza contrattuale rimarrà ferma ai valori del 2012 fino al 2017, quasi a prevedere una nuova proroga del blocco contrattuale, congelati gli integrativi, fermo il turn-over. Quel tabellare da fame aumenta poi di poco più di 200 euro con tre ore di straordinario (dieci anni fa poteva farne 15) e con i buoni pasto da 5 euro al giorno. «Spiccioli irrinunciabili», commenta Tiziano, «legati alla presenza: un mio collega che si era rotto il bacino ha continuato a lavorare fino a quando non lo abbiamo costretto ad andare in ospedale».

Storie di lavoratori con il fiato corto e la cinghia dei pantaloni all’ultimo buco. Dagli enti locali all’amministrazione dello Stato. Letizia è dipendente dell’Agenzia delle Entrate. Il suo milione e 100 mila lire del primo stipendio, nel 1991, valeva ben più dei 1.450 euro netti che percepisce oggi: «In quegli anni, con un mutuo, riuscii persino a comprare una casa. Dividevo le vacanze in due parti, a fine giugno e a fine agosto. Ora prendiamo invece una cabina a Ostia in coabitazione con altre famiglie. E con i figli è dura». Il primo, da mantenere all’Università: solo di tasse, nonostante lo sconto Isee, l’indicatore che seleziona chi ha diritto a benefici pubblici, se ne vanno 500 euro con la prima rata e 400 con la seconda. Ma è soprattutto per la più piccola, che ha appena iniziato il liceo, che Letizia non si dà pace: «A differenza del fratello, lei ha sempre studiato su libri comprati alle bancarelle, sottolineati e sgualciti. Ma dico io: perché i testi vengono cambiati in continuazione? Il grande le ha passato il Rocci, vocabolario di greco, ma i professori hanno detto che oggi va meglio il “G”. Io tengo duro, ma è chiaro che avere l’altro diventa in classe un fattore di selezione sociale».

Deborah, invece, fa l’infermiera in un ambulatorio. Prima era in ospedale, poi le è nato un figlio, e ha dovuto dire basta ai turni di notte. «Nel 2010 ho preso un master in coordinamento delle professioni sanitarie, ma non mi è servito a nulla. Dopo 21 anni di lavoro guadagno 1.500 euro al mese. E i miei colleghi rimasti all’ospedale, con le notti e tutto il resto prendono appena 200 euro in più».

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«Non dobbiamo poi dimenticare che sono economicamente bloccati gli avanzamenti di carriera», osserva Benedetto Attili, segretario generale della Uil pubblica amministrazione: «Sono registrati dal punto di vista formale, ma non pagati». La retribuzione media dell’intero pubblico impiego, stavolta in termini lordi, si aggira attorno ai 33 mila euro l’anno. Si guadagna meno nei ministeri (27 mila euro), di più nelle agenzie (34 mila) e negli enti non economici (38 mila euro). Ma i dipendenti pubblici dovrebbero consolarsi, se così si può dire, con due dati di fatto. Il primo: dal 2001 al 2010 le loro retribuzioni erano cresciute più di quelle dell’industria manifatturiera. Secondo l’Aran, l’agenzia che rappresenta la pubblica amministrazione nelle trattative con i sindacati, il sorpasso dei privati è avvenuto proprio nel 2010 (grafico qui sopra) e nel 2012 questi hanno goduto di aumenti pari al 2,1 per cento.

Il secondo aspetto, certo il più importante, è che nell’industria dilaga la cassa integrazione e si rischia ogni giorno il posto di lavoro, mentre nel pubblico questo è ancora garantito. «La certezza del lavoro ci rende più tranquilli», ammette Roberta, professoressa in una scuola media di Roma nord, «ma c’è molta rassegnazione, grande sfiducia nello Stato e manca la voglia di impegnarsi come un tempo. Ci sentiamo abbandonati. Io mi salvo con la passione». Sconcertante è stata la vicenda degli scatti di anzianità, i famosi 150 euro lordi al mese, 100 netti in media: prima sono stati pagati per l’anno 2013, perché il blocco durava sino al 2012, poi, dopo la proroga del blocco in settembre, ritirati da Fabrizio Saccomanni con una richiesta di restituzione degli arretrati, annullata anche per l’opposizione di Matteo Renzi e del ministro Maria Chiara Carrozza.

Gli scatti di anzianità, il primo dopo otto anni, gli altri dopo sei, sono in pratica la sola forma di avanzamento degli insegnanti. «Già, ma dove li hanno presi questi soldi?», si chiede Roberta. E risponde: «Dal Fis, il fondo d’istituto per finanziare i progetti, che così non si faranno, e per pagare, tra l’altro, i collaboratori del dirigente scolastico, come me. Io prendevo mille euro l’anno per 120 ore, le vogliono ridurre a 70. Invece che investire nella scuola, la stanno affossando».

Ma è servito alla causa nazionale il sacrificio economico del pubblico impiego? «Certamente sì, dal punto di vista dei conti pubblici», risponde Pierluigi Mastrogiuseppe, capo Ufficio studi dell’Aran, «per la prima volta dopo molti anni la spesa complessiva per retribuzioni si è ridotta dell’1,6 per cento nel 2011 e del 2,3 per cento nel 2012. Il grosso dei risparmi è venuto dal blocco del turn over e dal congelamento delle retribuzioni, che ci consegnano una pubblica amministrazione più vecchia e demotivata: diminuisce il personale, aumenta l’età media». Questa, nel 2012, è risultata pari a 48 anni, ma se si tolgono Forze Armate e Polizia, dove è nettamente più bassa, siamo tra i 50 e i 51, con una progressione di quasi un anno ogni 12 mesi. Quanto ai lavoratori pubblici, secondo la Ragioneria generale dello Stato, se ne sono persi circa 300 mila dal 2006 ad oggi.

«Non è vero che i 10 miliardi di euro risparmiati col blocco retributivo siano serviti a frenare la spesa pubblica», ribatte Giovanni Faverin, segretario generale della Cisl Funzione pubblica: «Questa è invece aumentata dal 2010 al 2012 di 10 miliardi di euro, portandosi a quota 801 miliardi. Ci sono troppi centri di spesa, bisogna ridurre appalti e consulenze. Occorre intervenire sui ben 169 mila dirigenti, che succhiano il 12,6 per cento delle retribuzioni lorde. E riattivare il turn-over. Bisognava riaprire i contratti senza oneri maggiori, ma riorganizzando il settore pubblico».

L’Eurispes ricorda poi che in Italia la spesa per il pubblico impiego grava per l’11,1 per cento sul Pil, meno che in Francia (13,4), Spagna (11,9), Gran Bretagna (11,5 per cento). Fra i grandi Paesi solo la Germania spende meno (7,9 per cento del Pil). Inoltre è sbagliata l’impressione di un settore pletorico: abbiamo infatti 5,8 dipendenti pubblici ogni 100 abitanti, contro i 6,5 della Spagna, i 9,2 della Gran Bretagna, i 9,4 della Francia. Ma è anche vero che la spesa italiana non si traduce in servizi pubblici efficienti per il cittadino.

Rassegnazione e, talvolta, indolenza, ma pure incapacità di governo da parte degli alti burocrati. A farla da padrone sono i dirigenti di prima fascia: quelli dei ministeri, secondo la Uilpa, guadagnavano in media 192 mila euro lordi nel 2010 (44 mila in più del 2005), quelli delle agenzie 202 mila euro (più 38 mila in cinque anni) e quelli degli enti pubblici non economici ben 221 mila euro lordi (più 38 mila euro rispetto al 2005). Roberto Perotti, professore alla Bocconi, ha pubblicato su lavoce.info un confronto con i dirigenti britannici, dal quale risulta per i nostri una “indifendibile” maggior retribuzione, oscillante fra il 50 e l’80 per cento, con forbice massima nel confronto fra i due ministeri degli Esteri. Quanto alla consistenza della struttura di comando, basti pensare che il Foreign Office ha tre direttori generali; la nostra Farnesina ben otto.