Lo sciopero è diventato inutile
Ora c'è chi propone di farlo lavorando
Bloccare i mezzi pubblici per protestare sui rinnovi del contratto non ha portato ad alcun risultato. Così nella Cisl qualcuno propone di rivoluzionare il concetto. Fermando sì i mezzi, ma rimborsando gli utenti che vivono il disagio. Un'idea che fa discutere
Contrordine, tranvieri. Scioperare non paga. Parola di sindacato, o almeno di una sua parte: la Cisl dei trasporti, che lancia una campagna per lo “sciopero intelligente”. Con un contratto di categoria scaduto già dal 2007, tredici scioperi nazionali effettuati e altri grandi e piccoli proclamati al ritmo di uno al giorno, arriva la presa d’atto: «Lo sciopero dei mezzi è su un binario morto», come recita uno degli slogan della campagna, che propone di far sì che le agitazioni di autisti e macchinisti non danneggino troppo i diritti degli utenti. Ma come? Rimborsando loro il biglietto (o una parte dell’abbonamento) quando sono costretti a viaggiare pigiati come sardine sui mezzi che girano nelle fasce protette, quando c’è sciopero nazionale. E facendo in modo che le agitazioni colpiscano anche i conti delle aziende locali di trasporto pubblico.
Nessuno sciopero a rovescio, né proteste virtuali o creative: soltanto mezzi fermi e pendolari (parzialmente) rimborsati. Basterà, per cambiare quello che la stessa Commissione di garanzia ha definito ormai come «uno sterile rituale, privo di effetti concreti»? Per Tiziano Treu «è un passo avanti, ma si può pensare a qualcosa di più radicale e coraggioso». Se il combattivo Maurizio Landini, dalla tolda dei metalmeccanici Fiom, sente il bisogno di allargare e cambiare le forme della protesta, per conquistare disoccupati e precari, e propone giornate nelle quali si lavora per scopi di utilità sociale, dalla frantumata rappresentanza di tranvieri e autisti non si arriva a tanto. Ma emerge una certezza: lo sciopero, così come l’abbiamo conosciuto e fatto, è diventato inutile.
Lo scorso anno quelli proclamati nel trasporto pubblico locale sono stati 397. Qualcuno è rientrato, altri sono stati unificati. Altri ancora, non messi nel conteggio, sono stati proclamati senza preavviso, modalità “selvaggia”.
Tutti insieme, fanno «un’arma spuntata», dice oggi la Fit Cisl. Che fa sapere ai suoi e ai cittadini: abbiamo un problema. Lo spiega Giovanni Luciano, segretario generale dei cislini dei trasporti: «Ogni volta che scioperiamo nel trasporto pubblico, ci rimettono i lavoratori, che perdono lo stipendio, e i cittadini, che non possono usare i mezzi. Mentre le aziende guadagnano tre volte: risparmiano sui salari e sul gasolio per gli autobus che non escono, e in moltissimi casi prendono lo stesso i contributi pubblici».
Andrea Gatto, uno che di paralisi dei trasporti se ne intende - è stato il leader della protesta di Genova dello scorso autunno, cinque giornate in cui i tranvieri dell’Atm incrociarono le braccia ignorando la precettazione e mettendo in ginocchio la città - fa due conti in tasca alle sue controparti. «Se calcoliamo le ore di servizio non pagate e i mezzi che non escono, considerando che con un litro di gasolio si fanno tre chilometri, il conto è presto fatto: solo qui a Genova l’azienda si mette in tasca 200 mila euro, con uno sciopero nazionale di 24 ore».
Un affare. Che, secondo il cislino Luciano, spiega l’atteggiamento delle aziende di trasporto e delle loro associazioni rispetto agli scioperi dei loro dipendenti: «Totale indifferenza». In altre parole: «Gli facciamo un baffo», chiosa Andrea Gatto, che schiererà anche il suo sindacato, la Faisa-Cisal (una delle sigle più agguerrite degli autonomi nei trasporti), ai banchetti Cisl a raccogliere le firme per la proposta di legge di iniziativa popolare per lo “sciopero intelligente”. Che, oltre a dare agli utenti i rimborsi per il poco e scomodo trasporto nelle giornate di sciopero, introdurrebbe un’altra novità: quando si fa uno sciopero nazionale, nei settori dei trasporti sovvenzionati con i contributi pubblici, le imprese perderanno i soldi dei rimborsi regionali, che andranno invece ai fondi bilaterali di solidarietà, a finanziare corsi per riqualificare i lavoratori, o altri sostegni per crisi occupazionali.
Un meccanismo sul quale già si litiga, scendendo nelle tecnicalità: l’associazione che rappresenta le aziende di trasporto, l’Asstra, nega che queste guadagnino con lo sciopero, e sostiene che i contributi sono legati ai chilometri effettivamente percorsi. Ma le regole variano parecchio da regione a regione, e in molti casi (come per esempio nel Lazio) il rimborso è forfettario: in caso di sospensione del servizio, il contributo pubblico viene ridotto del 25 per cento. «E poi», chiede Luciano, «chi certifica quanti sono i chilometri effettivamente percorsi?».
Dispute numeriche a parte, resta il dato forte della denuncia Cisl, che suona anche come un’autodenuncia: scioperiamo da anni senza un risultato. «E questo è un problema, siamo sempre più impopolari verso i cittadini, ma anche i lavoratori stessi si disaffezionano», dice Luciano. Parole che fanno capire che la svolta dei tranvieri della Cisl sullo sciopero è stata dettata anche da crescenti difficoltà a mantenere il consenso tra gli iscritti; benedetta da una segreteria confederale in transizione (favorevoli l’uscente Bonanni e l’entrante Annamaria Furlan), è tutt’altro che una passeggiata: da adesso parte la campagna in piazze e stazioni per raccogliere 50 mila firme certificate in sei mesi. Poi, se l’obiettivo sarà raggiunto, la proposta di legge andrà in parlamento.
È un primo passo, ma non è abbastanza»: Tiziano Treu, già ministro sia dei Trasporti che del Lavoro, storicamente vicino alla Cisl, chiama i sindacati a fare di più. «Può esser vero che, con un meccanismo che penalizza maggiormente le aziende, queste potrebbero essere più attive nel cercare di evitare lo scontro. Ma resta il fatto che in questa proposta lo sciopero resta, il disagio agli utenti anche: mentre si potrebbero fare proposte più coraggiose e radicali». Treu pensa allo sciopero virtuale, di cui spesso in passato si è discusso e che è stato tentato, con scarso successo, nella vertenza della compagnia aerea Meridiana: uno sciopero nel quale si lavora lo stesso, e sia lavoratori che imprese versano “la giornata” in attività socialmente utili.
Un modo per far gravare i sacrifici sulle imprese e sui lavoratori che lo fanno, ma non sugli utenti. Ma si tratta di modelli che da noi non hanno mai attecchito. Treu ricorda: «Il problema è proprio il settore dei trasporti: ogni piccolo sciopero ha effetti pesanti e le sigle sindacali sono ultra-frammentate». E invita a sperimentare forme nuove, «non è che serve per forza una legge». «Ma cosa possiamo fare? Non far pagare i biglietti? Se stacchiamo le macchine obliteratrici ci denunciano», ribatte Andrea Gatto, secondo il quale il problema è e resta uno solo: «Se hai una controparte alla quale dello sciopero non frega niente, questo diventa inefficace. E allora, si crea un problema in più: i lavoratori si esasperano, e passano ad altre forme di protesta, anche non legittime».
E spesso la pagano. A Genova stanno aspettando l’esito del ricorso contro le sentenze per i fatti di novembre: se saranno confermate, ogni scioperante dovrà pagare attorno ai 5.000 euro. Dice Gatto: «Sono trent’anni che faccio il sindacalista, ho visto cambiare il concetto di sindacato: c’è meno appartenenza, ci si iscrive se serve e si pianifica un’azione se può avere dei risultati. Forme di protesta alternative si possono trovare, ma non simboliche, i lavoratori devono poter vedere i risultati».
Tutto ciò non vuol dire che quest’anno avremo una tregua nella guerra quotidiana del trasporto pubblico. Non solo perché su questo la stessa Fit-Cisl non garantisce («dipende dalle dinamiche che si creano»), ma anche perché le sigle e le vertenze sono tante quante sono le città italiane.
Sul fronte confederale, la Cgil trasporti reagisce con freddezza alla proposta («È un’iniziativa loro, no comment»), mentre la Uil potrebbe essere più favorevole ma al momento le comunicazioni nel ramo trasporti sono interrotte per le beghe riguardanti la vertenza Alitalia. Dal lato degli autonomi, poi, è da registrare la netta opposizione allo “sciopero intelligente” dei duri dell’Usb: «Lo sciopero nei trasporti non funziona per colpa della legge che lo imbriglia», dice Roberto Cortese, dell’esecutivo nazionale della unione dei sindacati di base. Per lui «non dobbiamo limitarlo ancora di più, disarmare i lavoratori, ma dirigere lo sciopero verso il vero obiettivo: che sono le istituzioni che devono garantire il servizio, Regioni, Comuni, governo». Le stesse che non hanno un quattrino in cassa e, ricorda Luciano, in sette anni si sono sedute raramente e solo per formalità al tavolo delle trattative sul contratto nazionale, senza favorire alcun risultato concreto.
La Commissione di garanzia sugli scioperi, dal canto suo, non si esprime ufficialmente sulla proposta dello sciopero intelligente, ma aveva già messo nero su bianco, nella sua relazione annuale, il rischio che gli scioperi nei servizi pubblici essenziali diventino «uno sterile rituale, privo di effetti concreti». Il suo presidente, Roberto Alessi, chiama però in causa governo e Regioni, più che le aziende e i sindacati: «Il settore del trasporto pubblico locale è al collasso, e non si fa niente per affrontarlo. Molte Regioni hanno speso i fondi dei trasporti per ripianare i debiti della sanità. Servono investimenti produttivi, e la capacità di calarsi nel merito delle controversie di lavoro, non solo contare le ore di sciopero».