Perché un problema di democrazia?
«Perché i loro presidenti sono eletti da persone cooptate nel consiglio di amministrazione. La cooptazione! Non esiste più nemmeno per il Papa»
E qual è il problema? Le fondazioni non sono società private che distribuiscono gli utili a chi e come vogliono?
«Il loro patrimonio, quello che fanno fruttare in borsa per distribuirne poi i proventi attraverso donazioni e bandi, era tutto pubblico. È stato privatizzato. Ma per questo hanno il dovere di investire in iniziative di rilevante interesse pubblico»
Questo significa sostituirsi allo Stato dove questo non arriva?
«Assolutamente no. Anzi: quando le fondazioni cercano di farlo, costruendo in proprio progetti - che siano mostre, laboratori di ricerca o luoghi di cura - sbagliano. I loro contributi devono essere il lievito, non la farina del terzo settore. Devono servire da moltiplicatore delle forze presenti. Non sostituirle. Certo, però: essere i creatori di qualcosa significa avere più potere che aiutando da dietro le quinte»
Negli Stati Uniti esistono enti simili?
«Sì, certo, a New York abbondano le fondazioni “granting” che hanno il compito di donare aiuti al territorio»
E assomigliano alle nostre?
«A guardare gli uffici: no. Presidente e consiglieri delle fondazioni americane sono tutti volontari. Niente gettoni di presenza o compensi: se devono dare soldi alla gente non possono trattenerne per sé. In Italia invece questi privilegi restano. E l'immagine della ricca fondazione dalla sede di lusso che elargisce contributi all'associazione sgarrupata di provincia è una delle costanti più distorte del sistema, secondo me. Dovrebbe essere il contrario».



