
La realtà però ci insegna che migliaia di grandi imprese di ogni parte del mondo fanno di tutto per dirottare i flussi di reddito verso gli Stati che garantiscono un trattamento soft dal punto di vista fiscale. Uno di questi è proprio il Lussemburgo, come ha dimostrato il recente scandalo cosiddetto Luxleaks, cioè la pubblicazione su diverse testate internazionali, tra cui in Italia l'Espresso, degli accordi segreti tra aziende e il governo del Granducato per ridurre il peso delle tasse.
Proprio il clamore di questa vicenda ha messo in grande difficoltà Juncker, accusato di essere uno dei grandi sponsor delle norme che hanno portato grande ricchezza nel suo Paese sottraendo risorse agli altri membri Ue. Adesso, a quanto pare, il presidente della Commissione tenta di recuperare credibilità promettendo interventi contro il turismo fiscale, che compaiono al numero 12 delle 23 nuove iniziative legislative che fanno parte del programma dell'esecutivo europeo.
Vedremo fino a che punto le parole si trasformeranno in fatti concreti. Il Lussemburgo infatti non è l'unico Paese che in ingrassa garantendo tasse ai minimi termini per le imprese straniere. Basti pensare all'Olanda o al Regno Unito con le Isole del Canale, mentre solo recentemente l'Irlanda ha annunciato l'abolizione del “double Irish”, lo schema che ha fin qui consentito alle multinazionali con base a Dublino di pagare imposte ridicole sui profitti.
Nel mirino dei critici sono finite soprattutto le grandi imprese tecnologiche come Apple, Google o Amazon. Giganti che realizzano ricavi miliardari da un angolo all'altro dell'Europa ma pagano tasse irrisorie grazie all'ospitalità gentilmente concessa alle loro holding da Paesi come il Lussemburgo e l'Irlanda.
Un paio di settimane fa anche il governo di Londra è partito lancia in resta contro l'elusione fiscale dei giganti del web. Il cancelliere dello Scacchiere George Osborne ha varato un nuovo schema legislativo che impone una tassa del 25 per cento sui profitti delle società straniere che sono fin qui riuscite a pagare le tasse fuori dal Regno Unito.
L'imposta, soprannominata Google Tax, entrerà in vigore dall'aprile 2015 e Londra punta a incassare almeno un miliardo di sterline (circa 1,2 miliardi di euro) nei prossimi cinque anni. Adesso anche Juncker sembra pronto a seguire l'esempio inglese per bloccare il turismo fiscale. Si tratta di capire, in concreto, fino a che punto le nuove norme saranno punitive nei confronti dei Paesi “no tax”.
Anche manovre come quella della Fiat, ora Fca, che ha trasferito la sede fiscale del gruppo a Londra, potrebbero in futuro essere ostacolate, se non vietate, da una Google Tax su scala europea. Il fuoco di sbarramento in Parlamento si annuncia molto pesante. Sono molti infatti i Paesi Ue che avrebbero molto da perdere da una legislazione particolarmente restrittiva. Olanda, Regno Unito, Austria e, ovviamente, il Lussemburgo di Juncker.