
Certo, l’Aim italiano è molto cresciuto nell’ultimo anno: le nuove quotazioni abbondano e il listino è quasi raddoppiato per dimensioni. Giusto dodici mesi fa, l’esordio di una matricola come Italy Independent, il marchio di moda di Lapo Elkann, si è tradotto in un grande spot gratuito per questo particolare mercato, da sempre ai margini delle cronache finanziarie. L’enfasi dei comunicati ufficiali (e di alcuni articoli) non riesce però a nascondere la realtà delle statistiche: 45 società quotate (contro le 1.100 di Londra) e scambi
al lumicino, per quanto in aumento.
Anche il rendimento non pare granché.
Negli ultimi dodici mesi, il Ftse Mib, l’indice principale di Piazza Affari, è cresciuto del 36 per cento, contro il 9 per cento scarso del listino riservato alle aziende minori.
Insomma, molto rumore per nulla. La Borsa delle piccole imprese resta un mercato per pochi intimi, con tutti i rischi del caso per gli investitori che si avventurano da quelle parti. Eppure, di questi tempi, ci sarebbe più che mai bisogno di nuove fonti di finanziamento. Il credit crunch, la stretta creditizia che in questi anni di crisi ha prosciugato bilanci e ambizioni, impone percorsi nuovi, strade innovative.
A quanto sembra, però, la Borsa rimane l’ultima delle scelte possibili per le piccole aziende nostrane. Nel caso dell’Aim, una serie di norme ad hoc ha ridotto al minimo
i costi e le procedure per approdare al listino. Nel giro di un paio di settimane è possibile completare l’iter burocratico che precede la quotazione. Inoltre non è prevista una dimensione minima (e neppure massima) della società e per ottenere il via libera è sufficiente mettere sul mercato il 10 per cento del capitale sociale.
Niente da fare: solo un pugno di piccoli imprenditori ha finora accettato di mettere in mostra i bilanci, sottoporsi al giudizio degli analisti, dare pubblicità ai curriculum degli amministratori. Tutti fanno un gran parlare di mercato e trasparenza, ottimi argomenti per farsi belli nei convegni confindustriali. Poi però, alla prova dei fatti, pochi se la sentono di fare il grande passo verso la Borsa.
E a ben guardare anche l’identikit di molte delle recenti matricole non corrisponde esattamente a quello dell’impresa che cerca fondi per finanziare la propria espansione.
In molti casi la quotazione appare invece come il modo più veloce per monetizzare una crescita che è già avvenuta negli anni (o nei mesi) precedenti.
Sarà solo una coincidenza, allora, ma all’Aim vanno di gran moda le aziende energetiche, che ormai valgono oltre un terzo della capitalizzazione totale del mercato.
Ben cinque delle nove new entry del 2014 hanno moltiplicato il loro giro d’affari cavalcando il boom delle fonti rinnovabili. Un boom che si spiega in gran parte grazie ai generosi finanziamenti pubblici.
La musica è cambiata con il giro di vite imposto dal governo, che ha tagliato i sussidi. Nei mesi scorsi, quindi, le aspiranti matricole hanno accelerato i tempi della quotazione per fare il pieno di fondi prima che la stretta lasci il segno nei loro bilanci. L’obiettivo centrato in pieno da aziende come Green Power e Gal, oppure Ecosuntek, Energy Lab o Plt Energia, che, sbarcando in Borsa, sono riuscite a incassare liquidità preziosa.
Non tutti festeggiano, però. A metà giugno la quotazione delle cinque matricole energetiche era inferiore rispetto al prezzo di collocamento. E così gli investitori sono rimasti con il cerino acceso in mano. A loro non resta che aspettare. E sperare nel rialzo che verrà. Se mai verrà.