Il calo del Pil nel secondo trimestre dell'anno fa ripiombare l'Italia in recessione, espressione che indica una diminuzione del prodotto interno lordo per due trimestri consecutivi. Dopo il calo dello 0,1 per cento dei primi tre mesi del 2014 (rispetto all'ultimo trimestre del 2013), l'Istat ha certificato oggi che anche nel secondo trimestre, cioè da aprile a giugno, la produzione di beni e servizi è scesa: meno 0,2 per cento, peggio delle ultime previsioni degli esperti. L'economia italiana torna dunque ad inanellare dati negativi dopo il rialzo di fine 2013, unico periodo degli ultimi tre anni anni in cui il prodotto interno lordo è cresciuto. Il valore reale del Pil a fine giugno si è attestato a 340,1 miliardi, il punto più basso da 14 anni a questa parte.
La contrazione nel secondo trimestre dell'anno era attesa dagli economisti, ma in misura minore rispetto quanto annunciato oggi dall'Istat. Lo stesso Istituto di statistica nazionale, nella sua nota di fine luglio, aveva previsto una possibile variazione negativa compresa tra - 0,1 e + 0,3 per cento. Invece le cose sono andate un po' peggio del previsto. In miglioramento è la produzione industriale, di cui sempre l'Istat ha pubblicato oggi i dati: a giugno è aumentata dello 0,9 per cento rispetto a maggio. Ma se si considera il dato trimestrale si nota come anche qui non ci sia incremento, anzi in confronto al trimestre precedente la produzione è calata dello 0,4 per cento, trainata al ribasso soprattutto dai cali delle attività estrattiva, di raffinazione e di produzione di prodotti elettrici.
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I dati del Pil hanno mostrato il primo effetto in Borsa, dove il Ftse Mib, il principale indice di Piazza Affari, poco dopo la pubblicazione da parte dell'Istat ha allargato le perdite oltre il 2,5 per cento. Il timore è che un arretramento del Pil maggiore del previsto possa intaccare il rapporto deficit/Pil, parametro cardine delle regole europee, che deve restare sotto il 3 per cento per evitare il commissariamento ufficiale, cioè l'arrivo a Roma della cosiddetta Troika a dettar legge sulla politica nostrana, proprio come è successo a Cipro, in Grecia, Irlanda e Portogallo. Con una crescita annuale del Pil dello 0,8 per cento, aveva detto il governo ad aprile, il rapporto deficit/Pil non andrà oltre il 2,6 per cento. Ora però le cose sono cambiate, e pure peggio rispetto alle previsioni degli analisti più pessimisti. Finora chi vedeva più nero per l'Italia, come ad esempio il centro studi di Confindustria, aveva stimato per il 2014 una crescita piatta, cioè nulla. Il timore è che, visti gli ultimi dati, anche questo possa diventare un anno di decrescita.
Il governo sembra esserne consapevole. Ieri, al termine di un lungo incontro a Palazzo Chigi, il premier Matteo Renzi e il ministro dell'Economia, Pier Carlo Padoan, si sono detti d'accordo nel far sapere che, nonostante il peggioramento della situazione, non ci sarà bisogno di manovre correttive, che il rapporto deficit/Pil resterà sotto il 3 per cento anche nel 2015 e nel 2016, e che per rimettere a posto le cose sarà sufficiente andare avanti con le riforme annunciate, a partire dalla revisione della spesa pubblica e dalle privatizzazioni. Capitoli che, per la verità, finora non hanno dato grandi soddisfazioni. La spending review, scritta dal commissario Carlo Cottarelli ultimamente entrato in attrito con Renzi, resta per ora in attesa di essere realizzata, mentre la prima privatizzazione rilevante, quella di Fincantieri, non ha dato i frutti sperati.