Il premier Renzi dà l’ok al Trans Adriatic Pipeline, che trasporterà il metano dall’Azerbaijan alla Puglia. ?I costi di realizzazione peseranno sulle bollette e servirà soprattutto ai nostri alleati

Indipendenza dalla Russia e risparmio sulle bollette. Sono questi i vantaggi promessi dal Trans Adriatic Pipeline, meglio noto come Tap, il gasdotto che punta a portare in Italia il metano dell’Azerbaijan. Un serpentone d’acciaio che attraverserà Grecia e Albania prima di arrivare sulla spiaggia di San Foca, a Melendugno, il paesino del Salento scelto come punto di approdo.

Dopo mesi di attesa, venerdì 12 settembre il progetto ha ricevuto il via libera dal ministero dell’Ambiente italiano. L’iter autorizzativo è ancora lungo, ma il governo sembra deciso a non farsi fermare dall’opposizione di sindaci e comitati locali. Non a caso il premier Matteo Renzi ha programmato per sabato 20 settembre una visita a Baku, la capitale dell’Azerbaijan, per annunciare al presidente-padrone dello Stato caucasico, Ilham Alyev, che l’opera si farà.

Resta da capire se il tubo della discordia ci renderà davvero più indipendenti dal gas di Vladimir Putin. E se i consumatori beneficeranno di prezzi più bassi. Questioni rilevanti, poiché molti pugliesi temono che l’infrastruttura possa rovinare l’ambiente e far fuggire così i turisti. Insomma, la domanda è se gli eventuali danni sulla zona di Melendugno saranno compensati dai benefici che il Tap porterà all’Italia.

Il caso
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Per giustificare la costruzione dell’opera, il governo ha sempre puntato su un concetto: allentare la dipendenza dal metano russo. Un’esigenza diventata ancora più pressante negli ultimi mesi, vista la guerra combattuta a colpi di sanzioni economiche tra l’Unione europea e gli Stati Uniti da una parte e Mosca dall’altra. Ma davvero l’Italia è così legata alle forniture di Gazprom? E in che misura il Tap potrà contribuire ad allentare questo vincolo? Meglio dirlo subito: se tutto andrà come previsto, il tubo sarà pronto nel 2020, quindi non servirà se quest’inverno Mosca dovesse decidere di lasciare tutti al freddo. Per capire come andranno le cose in futuro bisogna invece guardare al passato.

Snam, la società che gestisce quasi tutti i gasdotti nazionali, dice che l’anno scorso l’Italia ha consumato 70 miliardi di metri cubi di gas, di cui 25 provenienti dalla Russia. Il Tap, almeno inizialmente, ne porterà in Italia 8. Dunque, l’oro azzurro dell’Azerbaijan potrebbe sostituire al massimo un terzo di quello russo.

Potrebbe, appunto. Perché la Strategia energetica nazionale, disegnata nel 2013 dal governo Monti, immagina per l’Italia il ruolo di hub europeo del gas. Vale a dire che il metano proveniente dall’estero non resterà tutto qui, ma servirà in buona parte per scaldare le case di tedeschi, austriaci e olandesi. «Quegli 8 miliardi di metri cubi provenienti dall’Azerbaijan», fa notare Matteo Verda, ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), «sono esattamente la stessa quantità che il nostro governo prevede di esportare nel 2023 in Nord Europa».

Certo, in situazione di emergenza - se cioè la Russia dovesse chiudere i rubinetti - potremmo tenerci quel gas. Ma che cosa ci guadagna l’Italia nell’immediato? Le tariffe di transito pagate a Snam. Che è una società a controllo pubblico. E che, secondo Verda, per gli 8 miliardi di metri cubi targati Azerbaijan dovrebbe incassare ogni anno 200 milioni di euro. Il gioco sarebbe a somma positiva, non fosse che per portare verso le Alpi tutto quel gas Snam deve ampliare il tubo che collega Brindisi alla Pianura Padana. Secondo Giuseppe Rebuzzini, analista della società d’investimenti Fidentiis, «il potenziamento della Dorsale Adriatica comporterà un investimento di circa 1 miliardo. Chi paga? Tutti, dato che il costo sostenuto da Snam finirà in bolletta, ma sarà un aumento davvero basso: molto meno di un centesimo di euro per metro cubo di gas».

gas


Dicono però i sostenitori del Tap che la piccola gabella verrà compensata dalla riduzione delle tariffe energetiche. Vero? In teoria sì. Il gas proveniente dall’Azerbaijan aumenterà infatti l’offerta sul mercato, e questo dovrebbe portare a una discesa dei prezzi. Ma il sillogismo dipende da una variabile: il costo del gas di Shah Deniz. Il giacimento azerbaigiano da cui uscirà il metano è controllato da un consorzio i cui soci principali sono l’azienda locale Socar e l’inglese Bp, che è anche l’operatore dei pozzi. Le stesse società risultano tra gli azionisti di maggioranza del Tap. Fra spese per l’estrazione e per la costruzione dei tubi fino all’Italia (non c’è solo il Tap ma anche il Tanap, la condotta che attraverserà la Turchia), l’investimento previsto è di 45 miliardi di dollari.

Tutti soldi privati, assicurano le società coinvolte nel consorzio. Che dicono di aver già stipulato con nove operatori, tra cui l’italiana Enel, contratti della durata di 25 anni, e del valore totale di 200 miliardi di dollari, per la vendita del gas in Europa.

Ma alla fine quanto costerà ai consumatori questo gas? Una stima l’ha fatta Luigi De Paoli, docente di Economia dell’Energia alla Bocconi: «Considerando una remunerazione del capitale investito del 10 per cento, il costo potrebbe arrivare a circa 0,3 dollari al metro cubo. Questo valore, a cui vanno aggiunti quelli operativi di trasporto, non è molto diverso dal prezzo attuale del gas in Italia all’ingrosso.

Insomma, per vendere il proprio metano a un prezzo competitivo il governo di Baku dovrebbe rinunciare quasi totalmente ai suoi guadagni, oppure una parte significativa dei ricavi dovrebbe provenire dalla vendita dei condensati che vengono recuperati con il metano». Come dire che i risparmi in bolletta probabilmente non ci saranno. E poco importa se alla fine Azerbaijan e soci riusciranno a trovare una formula per rendere l’investimento redditizio.

«La storia secondo cui qualcuno porta gas sul mercato e lo vende a prezzi bassi è un falso mito», dice Rebuzzini, «una discesa significativa si avrebbe solo in caso di eccesso di offerta, ma gli operatori non sono così stupidi da distruggere il mercato». Viene allora da chiedersi perché l’Italia deve rischiare di rovinare un’area a vocazione turistica. Per la sicurezza energetica, è la risposta degli esperti. Non tanto quella dell’Italia, però, ma quella dell’Unione europea. Che grazie al gas azero, a cui prima o poi potrebbe aggiungersi quello del Medio Oriente, potrà diventare più indipendente dalle forniture di Mosca.

Una visione in cui il singolo Stato mette da parte l’interesse particolare a beneficio dell’intera comunità. Non proprio quello che succede da anni con la crisi del debito, dove i Paesi più in salute, Germania in testa, si rifiutano di sacrificare il proprio benessere per sollevare le economie più deboli. Chissà se il Tap diventerà un’arma per convincerli a cambiare idea.

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