Doveva favorire le donazioni a musei e teatri. Lo sconto fiscale voluto dal governo però non ha sortito i risultati sperati: in un anno metà dei beneficiari non ha avuto neppure un euro. E il ministro Franceschini prova a rimediare
Imprenditori illuminati, fuori la grana! In un anno di vita, ha portato quasi 34 milioni di euro di donazioni private nelle casse di comuni e fondazioni, per ristrutturare o mantenere in vita teatri, musei, monumenti pubblici. Si chiama Art Bonus ed è il meccanismo varato nel luglio 2014 dal governo di Matteo Renzi per dare una mano al patrimonio artistico e culturale italiano.
È un massiccio sconto fiscale per chi, a sostegno della cultura, effettua “erogazioni liberali in denaro”: in pratica, più donazioni fai, più risparmi sul fisco. Dopo un anno di vita, però, i risultati sono in chiaro scuro: a fronte di 184 tra teatri, musei e beni artistici che hanno domandato aiuti per la cifra complessiva di 355 milioni, per ben 107 la casella “quattrini raccolti” è ancora tristemente vuota. Lo dicono le cifre ufficiali riportate sul portale Web “artbonus.gov.it”, realizzato appositamente dal ministero dei Beni ambientali e culturali, alla data del 20 ottobre.
Ecco perché, ora, il ministro Dario Franceschini ha deciso di rilanciare: la legge di stabilità renderà permanente lo sconto fiscale del 65 per cento (spalmabile in tre anni) per i donatori, mentre prima era previsto che - dopo un 2015 di lancio particolarmente vantaggioso - scendesse al 50 per cento nel 2016, e poi chissà.
Giovedì 22 ottobre Franceschini ha convocato un incontro per dare la scossa. Lo ha battezzato “Mecenati di oggi per l’Italia di domani”, chiamando a sfilare varie tipologie di benefattori. Il ministro sostiene che grazie all’Art Bonus le donazioni sono già aumentate del 20 per cento e spera che il 2016 sia l’anno-boom. «Faremo la campagna pubblicitaria che non potevamo lanciare, senza essere certi della stabilizzazione dello strumento. E proveremo a coinvolgere le grandi imprese, finora piuttosto assenti, a parte pochi esempi. Tipo Unicredit, che ha appena elargito 7 milioni all’Arena di Verona», dice a “l’Espresso”.
Una delle poche aziende private a rispondere all’appello, e tra le primissime in ordine cronologico, è stata la Brembo, la multinazionale bergamasca dei freni, che ha sganciato 250 mila euro per il restauro del teatro Donizetti, nel capoluogo orobico. «Ci è parso doveroso intervenire nella nostra città e speriamo di aver dato il buon esempio per scatenare un po’ di emulazione», racconta Cristina Bombassei, figlia del presidente del gruppo, Alberto, che chiede al ministero di semplificare le procedure per poter donare, «davvero troppo complesse per una piccola azienda che non ha un ufficio dedicato a questo tipo di pratiche». La sfida dei Bombassei l’ha raccolta la Siad (gas industriali e medicali) della famiglia Sestini, con la stessa somma. Eppure, nonostante l’attivismo del sindaco Giorgio Gori, la raccolta per restaurare il Donizetti è stata finora poco superiore a un sesto del necessario. E, come in molti altri casi, il bonifico più ricco lo ha fatto una banca (la Popolare di Bergamo, con 2 milioni di euro).
Al partito dei delusi va iscritto d’ufficio Maurizio Braccialarghe, assessore alla Cultura del Comune di Torino, che ha schierato diversi giocatori nella sua partita, come l’ottocentesca Scuola elementare Boncompagni, già citata nel libro “Cuore” di De Amicis, che ha bisogno di 1,8 milioni di euro e ha rastrellato solo 120 euro, donati da Braccialarghe stesso. Lui dice: «Non siamo certo soddisfatti, dobbiamo riflettere su due problemi: informazione e procedura. L’esistenza dell’Art Bonus è stata scarsamente divulgata. Bisogna far entrare nel patrimonio culturale collettivo l’idea che è arrivata una nuova opportunità, parlando di tasse e sgravi. In fondo, è uno strumento per orientare il pagamento delle imposte. Perché non si è realizzata una campagna tipo Pubblicità Progresso, sotto l’egida della Presidenza del Consiglio?».
L’advertising, ha promesso Franceschini, a breve partirà. L’assessore torinese però se la prende con le procedure: «Bisogna andare in banca, farsi fare un bonifico specifico, indirizzarlo al Comune, mandare il tutto al ministero, e infine ottenere una quietanza utile per la dichiarazione dei redditi. Come spesso accade nel nostro Paese, la burocrazia rischia di uccidere le migliori intenzioni».
Al Sud scarseggiano i mecenati e pure l’offerta: i possibili beneficiari sono appena otto, quattro dei quali in Puglia. Uno è l’Abbazia di Santa Maria di Cerrate, in provincia di Lecce, in concessione trentennale al Fondo per l’ambiente italiano (Fai), che ha avviato, a proprie spese, la progettazione del restauro: un conto da 12 milioni (con l’Art Bonus ne sono stati richiesti 2,9). Finora, sono stati raccolti poco più di 160 mila euro.
Nella pagella del direttore generale del Fai, Angelo Maramai, lo strumento conquista una sufficienza stiracchiata: «Vale solo per il patrimonio pubblico e non per quello privato, anche nel caso di beni di grande interesse per la collettività. E questa è un’ingiustizia, come abbiamo cercato invano di far capire al ministero. Non lo possiamo usare, per esempio, per tanti beni privati che amministriamo noi. Inoltre, di fronte alla percezione che nel nostro Paese si paghino già troppe tasse e vadano sprecati fiumi di risorse, non è affatto facile convincere dei privati a effettuare donazioni allo Stato, perché non c’è la certezza che i quattrini saranno gestiti con giudizio». Un altro punto debole, secondo il Fai, sono le finalità: «A un filantropo bisognerebbe offrire un progetto concreto, tangibile, come il restauro o il recupero architettonico, e non indicare, genericamente - come hanno fatto in tanti - il mero sostegno alle attività».
Proprio il sostegno alla normale operatività giornaliera, per esempio, fa lievitare la voce “costo complessivo interventi” della Scala di Milano e del Teatro dell’Opera di Roma, le due istituzioni-monumento che dominano la lista degli iscritti al campionato dell’Art Bonus.
La cifra chiesta dalla Scala fa sobbalzare sulla sedia: 127 milioni. Che vogliano costruire un nuovo stadio di San Siro a due passi dal Duomo? Niente di tutto ciò, spiega il sovrintendente Alexander Pereira: «Quello è il budget annuale del teatro, un po’ più alto del solito per gli eventi legati all’Expo. Il contributo dei privati copre in genere circa un terzo delle nostre spese. L’Art Bonus è interessante ma c’è anche chi decide di erogare la stessa cifra che dava in passato e, grazie allo sconto fiscale, risparmia qualche soldo. Io, e credo che questo sia l’auspicio del governo, spero invece di convincerli a donare di più e di conquistare nuovi benefattori». Pereira sottolinea come la Scala sia uno dei teatri con maggiori contributi privati: «Se un’istituzione dimostra di lavorare bene con i privati, anche la parte pubblica è stimolata a sostenerla. Noi capi dei teatri dobbiamo essere sempre più “salesman”, venditori, e costruire relazioni con le aziende. Tutti i giorni incontro imprenditori, cercando di entusiasmarli».
Fa pure Carlo Fuortes, sovrintendente dell’Opera di Roma, con esiti apparentemente meno felici, nonostante lui sostenga: «L’ArtBonus funziona». Il solito sito scrive che la raccolta è stata di 500 mila euro (su 37 milioni richiesti), ma Fuortes rivela trattative in corso per un milione e ritiene che il bonus darà frutti nel lungo termine.
Anche per la Casa natale di Gioacchino Rossini, a Pesaro, la fredda espressione dei numeri cozza con la soddisfazione degli interessati. Stando all’ultimo aggiornamento (a fine settembre), si evince che la raccolta è stata di 4 mila euro, mentre gli importi previsti superano i 162 mila. «In realtà, siamo quasi riusciti a coprire tutte le necessità finanziarie legate all’adesione all’Art Bonus», assicura Silvano Straccini, direttore della cooperativa concessionaria del museo, «perché ho già stretto accordi con un sacco di società interessate ed entro fine anno firmeranno tutte. Aspettano l’ultimo momento, mi hanno spiegato, per ragioni fiscali. I denari finora sono arrivati da singoli cittadini».
In casa Renzi, non poteva essere altrimenti, l’obiettivo è di cavalcare alla grande la novità. Firenze ha lanciato un piano di manutenzione che include quasi una ventina di beni. Forse troppi. Tra le opere a caccia di un aiutino c’è anche il Nettuno di Bartolomeo Ammannati di Piazza della Signoria, che ha bisogno di interventi di manutenzione per 1,5 milioni. Per la celebre opera, però, non è stato “alzato” neppure un euro, come direbbe un giovane. Michele Mazzoni, direttore dei servizi tecnici del Comune, sostiene comunque che «l’amministrazione può ritenersi in parte soddisfatta dall’interesse manifestato sia dai privati che dal mondo delle imprese».
Dando un’occhiata alle erogazioni ricevute, si nota però come non ci sia stata la fila, per mettere mano al portafoglio. Sulla raccolta di poco inferiore ai 2,7 milioni di euro (sui 23,4 milioni complessivamente richiesti), solo 55 mila sono stati sganciati dai privati e dalle aziende non bancarie. La parte del leone l’ha fatta la Fondazione Cassa di Risparmio, con 2,5 milioni, mentre dal Monte dei Paschi sono arrivati 93 mila euro. A poche centinaia di metri dal trascurato Nettuno, gli Uffizi si fregano le mani. Hanno chiesto 600 mila euro, tutti portati a casa.
Le lamentele si concentrano sulla mancata comunicazione di massa. Dalla Fondazione Teatri di Reggio Emilia al Carlo Felice di Genova, la musica - non troppo lirica - è la stessa: senza promozione è difficile scatenare l’interesse, anche in città dove la musica colta vanta molti suiveur.
Di diverso tenore le critiche di Andrea Compagnucci, che affianca l’Arena Sferisterio di Macerata nella raccolta fondi: «L’Art Bonus ha un grosso limite: è calibrato sui grandi gruppi, le banche e le istituzioni di primo piano».
Anche se, analizzando il sito del Mibact, la caccia è aperta in tutte le direzioni: Franceschini, del resto, bussa ai potenziali mecenati ma punta anche sullo sviluppo di un crowd-funding di massa. La marcia è lunga e con i due assi calati adesso - stabilizzazione dello sgravio fiscale e lancio della campagna promozionale - la generosità sopita potrebbe risvegliarsi.
C’è da dire, tuttavia, che la proroga degli sgravi per l’Art Bonus non raccoglie solo applausi. A qualcuno lascia in bocca un retrogusto amaro. «Il no profit viene definito il “terzo” settore ma a me sembra che stia diventando l’ultimo», sottolinea polemicamente Raffaella Pannuti, Presidente di Fondazione Ant, la più importante organizzazione italiana per l’assistenza domiciliare (aiuta i malati di tumore). «Donare a teatri e musei, in Italia», lamenta Pannuti, «è ora fiscalmente più conveniente che non erogare denari a chi aiuta le persone che soffrono».