
Per questo in Alto Adige sulla film location puntano molto. Vuoi uno scenario romantico o rurale, idilliaco o militare? Ti serve un muro, o un monumento, ci vuoi un laghetto, o solo un bosco alpino? Basta interrogare il motore di ricerca nel sito del Bls, Business Location Sudtirol-Alto Adige, la società provinciale che fa marketing territoriale, e trovi il tuo set ideale. E c’è un bel budget per aiutare la produzione. Lo fanno più o meno tutte le Regioni, e la concorrenza è tanta. Ma qui l’approccio è scientifico: clicchi sull’immagine che ti piace, e ti dicono quali servizi ci sono (acqua, energia, ascensori...) e tutti i contatti di chi può concedere l’autorizzazione a girare. «Certo, sono tedeschi», direbbe chi ancora pensa all’Alto Adige come un corpo estraneo appiccicato all’Italia a forza, ma con una identità aliena, tedeschi il 70 per cento.
Come ha sostenuto, in un acido pamphlet (“Sangue e suolo”), lo scrittore Sebastiano Vassalli una trentina d’anni fa. Sentimento cui il diniego della provincia di Bolzano di issare la bandiera italiana per il centenario della Prima guerra mondiale, lo scorso 24 maggio, ha offerto nuovo afflato. Non è stata una gran mossa. «Ma bisogna ammettere che ormai la convivenza è molto meno problematica che in passato», smorza Francesco Palermo, costituzionalista, un bolzanino di etnia italiana per la prima volta eletto senatore.
Da Vassalli a oggi molto è cambiato. L’irredentismo sudtirolese è meno virulento, la posizione del governo centrale più morbida. Tanto che proprio Renzi ha firmato un nuovo Patto di garanzia tra Stato e Provincia, operativo dall’inizio di quest’anno, che aumenta ulteriormente l’autonomia locale, in cambio di un contributo altoatesino di 800 milioni al ripianamento del debito nazionale.
La fotografia dell’Alto Adige oggi è dunque quella di una provincia con la libertà di iniziativa di uno Stato nazionale, con il Pil pro capite più alto d’Italia (39.800 euro) e uno dei primi in Europa, con il sistema fiscale più leggero, con una crescita del budget che è araba fenice per qualsiasi altra amministrazione locale. Una provincia che nel 2015, con entrate in crescita (5,3 miliardi, più 3 per cento), si propone di tagliare le spese correnti, ma si concede anche il lusso di aumentare il welfare, l’istruzione e la viabilità, e soprattutto gli investimenti. E che spende di tasca propria 26 milioni in laboratori di ricerca nuovi di zecca, manco fossimo a Seattle. E tutto questo in un territorio di settemila chilometri quadrati che per il 60 per cento è sopra i mille metri e per la metà è bosco.
Si dirà: facile governare mezzo milione di persone da ricchi e autarchici. Eppure in questo territorio si sta sperimentando una transizione che forse neanche agli stessi abitanti appare completamente chiara. E che si può così riassumere: per mantenere il livello di vita raggiunto, il benessere che consente per esempio di spendere per la sanità, a testa, 500 euro più della media nazionale, occorre proiettare un’economia basata soprattutto sull’agricoltura e il turismo verso un livello tecnologico superiore. Non accontentarsi di essere solo bravi, ma bravissimi: come è successo a 500 aziende altoatesine, tantissime per un territorio così piccolo, che sono leader mondiali nel loro settore. Tanto che nella vetrina dell’Expo dall’Alto Adige sono state chiamate in 60 per lavorare.
A META' TRA ITALIA E GERMANIA: IL PIL DAL 2007 al 2015

Storie al top come quella della Technoalpin, primo produttore al mondo di cannoni per innevare le piste da sci, e che ora sta studiando come utilizzare la sua tecnologia per spegnere gli incendi in Amazzonia e aprirsi un nuovo mercato. O come la Stahlbau Pichler, azienda artigianale diventata leader nelle facciate d’acciaio, commesse da Ferrari a Gucci, dalle Olimpiadi di Sochi alla costruzione di ben nove padiglioni all’Expo di Milano, e già ingaggiata per la prossima Expo di Dubai. O come la Damiani Holz, che all’Expo ha firmato il padiglione della Coca Cola e la copertura di quello tailandese. Come Rubner, che sempre all’Expo ha realizzato il Cluster bio-mediterraneo e il Children park. O come la Microgate, due fratelli sfegatati sciatori che per cronometrare le gare inventano il sistema che ora usano tutti, dal Tour de France all’Nba americano, per poi spingersi oltre, a brevettare lenti adottate anche dalla Nasa.
Sull’obiettivo del salto tecnologico c’è una totale concentrazione di azioni strategiche. Dai finanziamenti («ma solo a chi fa brevetti e innova davvero», dicono al Bls) alla costruzione di un nuovo parco tecnologico, che si aggiunge ai diversi centri di ricerca già attivi su vari fronti, dall’agricoltura all’energia. Si chiama “Noi”, che sta per Nature of Innovation, 124 milioni di investimento. Nascerà nella vecchia sede della Alumix, fabbrica dismessa da anni per la sua voracità energetica, che la Provincia ha scelto di bonificare e su cui porterà i nuovi laboratori, uno dei quali replicherà condizioni climatiche estreme e sarà unico al mondo. Il resto crescerà intorno, man mano che le imprese private saranno interessate a costruire. I primi ammessi sono la bolognese Maccaferri, ingegneria ambientale, e la Senfter, salumi. Porte aperte a chiunque, dunque? Niente affatto. «Noi non siamo adatti a chi vuole semplicemente delocalizzare», spiega il capo del Marketing di Bls Giuseppe Salghetti Drioli: «perché qui i terreni costano tanto e la manodopera qualificata pure».
Prima di tutto occorre essere dentro i settori strategici individuati (il green, l’alpine, il food, l’automation), poi bisogna passare al vaglio del Bls quanto a criteri di ammissione. Che presuppongono anche dei no. «Non vogliamo essere come la Silicon Valley», dice Salghetti Drioli, «dove la crescita è accelerata ed esasperata: noi vogliamo restare dimensionati. E non vogliamo dare aiuti economici solo perché le aziende si trasferiscano qui, come hanno fatto gli austriaci in Veneto o in Emilia-Romagna. Qui apriamo il portafoglio solo a chi ci garantisce un vantaggio reciproco: abbiamo detto no a brillanti start up perché prevediamo che in cinque anni avranno bisogno di andare a Londra, o a Berlino, non di restare». Stesso ragionamento per i film: «Diamo 100 di finanziamento se si investe 150. E poi non basta venire e locare le stanze, ma far lavorare le imprese locali. I falegnami che facevano i tetti che durano 100 anni ora fanno anche i set che ne durano 10; chi cuciva i costumi tradizionali, ora fa quelli per il cinema».
LA DISOCCUPAZIONE E' AL 4,5% PER CENTO

Tutto questo è possibile solo con una governance molto solida e accentrata. Certamente è stata la continuità del governo provinciale della Svp, oggi guidato da Arno Kimpatscher, a fare in modo che «tutti tirino dalla stessa parte», secondo la definizione del senatore Palermo. Un’attitudine passata nel Dna collettivo, visto che nella provincia si va dal record per la raccolta differenziata dei rifiuti a un tasso di soddisfazione sull’amministrazione pubblica che è del 75 per cento. Mai visto altrove.
L’amministrazione pubblica, peraltro, è pervasiva: è il più grosso datore di lavoro dipendente (più di 50 mila sui 180 mila occupati dipendenti), e copre praticamente tutte le funzioni, dalla scuola alla giustizia al fisco, tranne che la polizia. Segue il manifatturiero (30 mila occupati tra industria e artigianato), il commercio (26 mila), l’attività alberghiera e di ristorazione (20 mila). Disoccupazione? Praticamente nulla, con 250 mila occupati totali è il 4,5 per cento, meglio che in Germania. «Merito anche del sistema duale alla tedesca», spiega Alberto Faustini, direttore del quotidiano ”Alto Adige”, «che immette i giovani nella formazione professionale durante la scuola, da cui poi passano direttamente nel mondo del lavoro». Il rovescio della medaglia è che nonostante abbia una sua università, l’Alto Adige ha il più basso numero di laureati d’Italia, e molte aziende fanno fatica a trovare personale qualificato.
Se il treno “per non morire solo agricoltori e albergatori” è partito, fuori delle aree industriali di Bolzano, Bressanone e Vipiteno il territorio resta prevalentemente rurale, con molte unità produttive di stampo familiare. Potrebbero risultare frammentate, invece no: «C’è una rete capillare di organizzazioni contadine locali che tiene sotto controllo tutto il sistema», dice Palermo. Lo dimostra la produzione di mele, un milione e mezzo di tonnellate l’anno, per la metà destinate al mercato italiano, per un quarto a quello tedesco, che impegna una organizzazione di 22 cooperative che investono in logistica ed edifici 40 milioni all’anno. E la produzione di vino, arrivata a livelli di qualità che solo qualche anno fa non era pensabile. A supportare l’export c’è, anche qui, un braccio operativo provinciale, la Eos, che agisce sia come strumento di marketing, sia come cofinanziatore insieme ai privati, ma fino all’80 per cento.

Certo, palpando gli umori sociali, con gli italiani eterni numeri 2, viene il sospetto che i 280 chilometri che dividono Bolzano da Milano valgano di più degli altrettanti che la dividono da Monaco. E che i 600 che servono per arrivare a Vienna appaiano molto meno pesanti dei 650 che ci vogliono per Roma. Eppure, agli occhi di un sacco di imprese, è proprio questo che rende l’Alto Adige interessante. La Despar, rete di supermercati e casa madre in Svizzera, ha qui la sede italiana, come pure la Mephisto, azienda francese di scarpe per cui l’Italia è il terzo mercato, ma anche la Birkenstock, la Merrell, la New Balance tanto per restare alle scarpe. «I vantaggi?», dice Gianni Klemera di Mephisto: «La professionalità, le banche locali, il metodo “tedesco”. E poi in una realtà più piccola ma comunque internazionale ci si sente più coccolati». Una porzione di coccole fa capo a sostanziosi sconti fiscali rispetto al resto d’Italia. L’Ires è al 27,5 per cento, l’Irap al 2,9 ma c’è una esenzione quinquennale per chi apre una attività entro quest’anno, e per le società di autonoleggio c’è il vantaggio di una tassa di circolazione ridotta. Tanto è vero che, da Avis a Europcar, sono tutte felicemente stabilite in Alto Adige.