
Qual è la novità nel nuovo patto di garanzia tra Stato italiano e Provincia autonoma?
«Si basa su uno scambio: ?la Provincia accetta di contribuire con 800 milioni l’anno al risanamento ?dei conti pubblici nazionali, ?e questo comporta che la cifra trattenuta nel territorio scenda dal 90 per cento attuale all’80; da parte sua lo Stato si impegna a non chiedere altro. Non si rischiano addizionali di emergenza né aumenti della cifra pattuita. D’altro canto, ove mai la Provincia rischiasse il default, lo Stato non ripianerebbe il buco».
In che cosa questo patto ?è meglio del precedente?
«Se il Pil della provincia aumenta più di quello del resto d’Italia, come finora è stato, le tasse in più restano qui, e il bilancio della Provincia incrementa, ?come accade quest’anno. Non solo: dal 2018 il flusso fiscale si inverte. Non dovremo più attendere la restituzione della nostra quota dal fisco nazionale: ?la tratteniamo all’origine. Questo dà più certezza ?di programmazione ed evita che negli anni scarsi lo Stato trasferisca in ritardo».
Un passo verso ancora maggiore autonomia?
«Sì. Questa scelta si è dimostrata giusta nel tempo, trasformando in trent’anni la zona in una delle più ricche d’Europa. Autonomia in cambio della pace “etnica”: ricorda l’epoca delle bombe? In 65 anni le risorse sono sempre aumentate, e dal 1995 al 2005, gli anni ?d’oro, il bilancio è quasi raddoppiato. Comunque dal 2010 l’Alto Adige è diventato pagatore netto, cioè dà al governo centrale più di quello che incassa».
Una crescita così, ?un po’ drogata, non crea squilibri?
«Forse all’inizio ha dato l’illusione di poter diventare la Baviera. O uno staterello nello Stato. Poi la crisi economica è arrivata anche qui, anche se attutita rispetto al resto del paese. Ma una buona amministrazione, e la stabilità del “partito unico”, l’Svp, è stata capace di governare e programmare nella giusta direzione: ?un turismo basato sulla sostenibilità ambientale, ?la ricerca di settori ?di eccellenza, la qualità ?dei prodotti tipici».