Confindustria: Vacchi "il comunista" vs Boccia "l'uomo di apparato"
Da Marcegaglia a Rocca, da Delrio a Poletti. Ecco come si schierano imprenditori, associazioni e ministri nelle elezioni per il nuovo numero uno degli industriali. Tra veleni e battaglie ideologiche
Veleni ma non solo. Anche veri e propri cimeli ideologici. Nella partita per la successione di Giorgio Squinzi alla guida della Confindustria, dietro ai pacati documenti ufficiali che inneggiano all’unità degli imprenditori, si celano le forti contrapposizioni e le tensioni che stanno caratterizzando la corsa. Una competizione che appare sempre più ristretta a due candidati: Alberto Vacchi, presidente degli industriali di Bologna e patron del gruppo Ima, e Vincenzo Boccia, salernitano, ai vertici di Arti Grafiche Boccia e presidente del comitato tecnico credito e finanza di viale dell’Astronomia.
LO SCHIAFFO DI MARCHIONNE E LO SCHIERAMENTO DI FEDERMECCANICA
Nella gara non mancano colpi bassi e forte litigiosità. E non solo perché i due contendenti hanno profili diametralmente opposti: il primo è considerato un outsider pronto a mettere in campo, prima di tutto, l’esperienza di industriale capace di fare crescere la propria azienda sul mercato globale, di generare profitti e lavoro; il secondo capitalizza la conoscenza profonda dell’apparato confindustriale e dei suoi equilibri. Le tensioni sono anche lo specchio della crisi, a partire da quella di rappresentanza, in cui si è da tempo avvitata l'organizzazione degli imprenditori, un tempo una delle lobby più potenti d'Italia. Gli associati sono inchiodati a circa 150 mila da almeno quattro anni. Numeri dichiarati dalla ex presidente Emma Marcegaglia nel 2012, riconfermati adesso dal sito dell’associazione. C’è stato lo schiaffo dell’addio di Sergio Marchionne e della Fiat. E il premier Matteo Renzi ha scavalcato tutti con il Jobs Act, riforma del lavoro che alle imprese piace ma che ha anche messo a nudo il re: lo stesso Giorgio Squinzi non ha infatti mai indicato tra le massime priorità la modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori e, da Roma in giù, gli industriali non hanno mai voluto davvero recidere di netto il cordone con la Cgil. Uno scenario nel quale le dichiarazioni non collimano, molto spesso, con le reali intenzioni.
Vacchi, che in una Emilia Romagna sempre più forte pensava di giocare in casa, ha scoperto di piacere a molti industriali della sua regione ma non a tutti. Alla fine potrebbe convincere a schierarsi con lui il presidente di Federmeccanica Fabio Storchi, che è di Reggio Emilia, e con il quale non sono certo mancate le frizioni sullo stile da adottare nella contrattazione con i sindacati.
Storchi, dopo aver accarezzato l’idea di entrare nell’arena, ha rinunciato: un dietrofront che molti hanno interpretato come un segnale di disgelo. Il presidente degli industriali bolognesi ha anche ottenuto l’endorsement di Ucima, l’associazione nazionale dei costruttori di macchine automatiche, che ha sede a Modena. Ma sa bene che il vice presidente della stessa organizzazione, Riccardo Cavanna, fa parte dell’associazione degli industriali di Novara. Dettaglio non irrilevante visto che il Piemonte, almeno sulla carta, preferisce Boccia, che può contare sull’appoggio incondizionato della stessa Emma Marcegaglia, che di Confindustria conosce bene struttura, organizzazione, risorse e limiti.
LA LOMBARDIA SI SPACCA TRA ROCCA E IL COW-BOY MARCEGAGLIA
Infatti i giochi, anche in Piemonte, non sono affatto chiusi: al di là dei pronunciamenti ufficiali c’è chi si muove diversamente. Come, per esempio, Alberto Dal Poz, vice presidente degli industriali di Torino, giovane fondatore (classe 1972) di Comec, azienda specializzata nella componentistica meccanica, che non si è esposto in modo esplicito per Vacchi ma ha fatto alcune dichiarazioni da cui si intende che la candidatura di Boccia non gli va a genio. E tanti associati piemontesi, in realtà, per ora tacciono e non si espongono, in attesa di capire chi ha più forza per poi salire sul carro del vincitore. Quanto alla Lombardia, che resta un peso massimo per la sua forte industrializzazione, le incognite sono molte. Il presidente di Assolombarda Gianfelice Rocca spinge Vacchi. È un imprenditore abile e potente e Assolombarda (Milano, Monza, Brianza, circa seimila imprese), ha un ruolo chiave in Confindustria. Ma Brescia è il regno di Marco Bonometti, presidente della Confindustria locale e terzo candidato alla poltrona di numero uno (il quarto è Aurelio Regina). Bonometti, che appare ormai fuori dalla competizione, ha il polso del bresciano ma paga il prezzo di non aver cercato accordi e apparentamenti. Regina, a sua volta, presidente di Sigaro Toscano ed ex vice dello stesso Squinzi, sembra altrettanto fuorigioco: può contare soprattutto sull’appoggio degli industriali del Lazio e, secondo indiscrezioni pubblicate dall'Ansa, nella giornata di domani giovedì 10 marzo potrebbe ritirarsi e appoggiare Vacchi.
Sempre in Lombardia molto si gioca anche su Mantova, feudo del gruppo Marcegaglia, che ha già fatto sentire tutta la propria influenza anche sul consiglio direttivo degli industriali di Ravenna, città dove ha il principale stabilimento: il parlamentino si è diviso tra favorevoli a Vacchi (9) e sostenitori di Boccia (6). Spaccatura che ha mandato in frantumi il sogno emiliano-romagnolo della compattezza a favore di Vacchi. Boccia, a sua volta, ha raccolto l’appoggio dei giovani industriali di Confindustria, per i quali è maggiormente indicato a ricoprire il ruolo: conosce i meccanismi dell’associazione ed è considerato più adeguato a riformarla per riavvicinarla a una base sempre più riottosa e insoddisfatta, per delimitare il perimetro d’azione alle sole aziende private e farne un pensatoio capace di restituirle l’ormai sbiadito protagonismo politico. Posizione che non ha convinto il Veneto – diviso a metà – e che ha invece persuaso la Valle d’Aosta. I fan di Alberto Vacchi, che nel bolognese guida un gruppo internazionale della meccanica da oltre 1,2 miliardi di ricavi, dicono che Boccia e Marcegaglia cavalcano come dei cow-boy indecisioni e i timori. Ma anche arrugginite contrapposizioni politiche.
COME VOTANO I MINISTRI
Non sono pochi, infatti, gli industriali che erigono un muro ideologico, definendo Vacchi «un comunista»: un marchio a fuoco per la sua propensione a cercare un accordo con i sindacati e anche - all’occorrenza - a scavalcare gli organismi nazionali dell’associazione deputati alla contrattazione per neutralizzare le conflittualità all’interno della sua azienda.Per i fan di Vacchi, queste argomentazioni vanno trattate alla stregua di un vecchio arsenale bellico. La verità, rilanciano, è che il patron di Ima vorrebbe chiudere definitivamente la «stagione dei falchi e delle colombe: preistoria che non fa l’interesse delle aziende, che devono crescere sui mercati internazionali». In questa fase, però, il tifo di Cgil e di Fiom non ha certo aiutato il candidato bolognese. Il primo a tesserne pubblicamente le lodi, dopo l’annuncio della candidatura, fu in Emilia Romagna proprio Bruno Papignani, segretario regionale della Fiom. «Uomo del dialogo», lo ha definito, innescando un effetto domino che ha ostacolato il candidato emiliano. Il quale, però, ha non pochi estimatori. Dall’industriale di origine vicentina Alberto Bombassei, fondatore del gruppo bergamasco Brembo ed ex candidato alla presidenza di di Confindustria, a Romano Prodi. Sempre in Emilia, Vacchi potrebbe contare sul prudente appoggio della schiera di ministri emiliani che affiancano Matteo Renzi, da Federica Guidi, ministro allo Sviluppo economico (ai vertici di Ducati Energia), a Giuliano Poletti, ministro del Lavoro, ex presidente nazionale di Legacoop, per arrivare al reggiano Graziano Delrio, delega alle Infrastrutture. Lo schieramento di Poletti non deve stupire: a Bologna l’alleanza tra industriali e Legacoop è già storia. Per quanto riguarda il ministro Guidi non va invece dimenticato che è stata presidente dei Giovani imprenditori di Confindustria nell’era Marcegaglia. Quanto al premier Matteo Renzi, che sta gelando tutti con la sua idea che la stagione della concertazione è finita, fino ad ora si è tenuto ben lontano dalla mischia.
Squinzi, in occasione lunedì 7 marzo del conferimento dei premi Leonardo (uno dei quali assegnato allo stesso Vacchi), ha detto che i vincitori sono «imprenditori che hanno già compreso i termini del nuovo confronto, che hanno saputo interpretare la competizione, soprattutto quella globale, con strategie vincenti».Vacchi era in compagnia di Ermenegildo Zegna e Giovanni Rana. Buon segno, dicono i bolognesi, che hanno incassato anche l’approvazione di Nicolò Codini, presidente di Disa e vice presidente del consiglio dei meccanici di Assolombarda, per il quale Confindustria ha bisogno di «un imprenditore competente ed esperto delle problematiche italiane e dei mercati internazionali, che faccia sentire la propria voce con la propria esperienza su tutti i tavoli necessari». Ma c’è ancora tempo. Sia per la designazione, prevista con voto segreto del Consiglio generale di Confindustria il prossimo 31 marzo. Sia per le dispute ideologiche.