Cosa sono, quando nascono e quanto costano: tutto quello che bisogna sapere sui contratti
CHE COSA SONOI contratti derivati sono strumenti che impongono alle parti che li sottoscrivono di scambiarsi flussi finanziari, a condizioni e a scadenze predeterminate. Prendono il nome dal fatto che il loro valore “deriva” dalle quotazioni di mercato di alcuni fattori a cui sono legati, come i cambi di una valuta o i tassi d’interesse.
I PIÙ DIFFUSII più presenti nel portafoglio del Tesoro sono i cosiddetti “Interest rate swap” (o Irs), che significa “scambio di tassi d’interesse”. In genere sono del tipo “tasso fisso” contro “tasso variabile”. Un esempio può essere questo: dato un valore di un miliardo di euro, detto nominale, prevedono che una volta l’anno il Tesoro verserà alla banca il 4 per cento di un miliardo (il “tasso fisso”), mentre la banca verserà al Tesoro il tasso Euribor applicato a un miliardo (il “variabile”). ?Se l’Euribor sarà sopra il 4 per cento, ?ci guadagnerà il Tesoro; se sarà ?sotto, la banca.
PERCHÉ SI FANNOSe ben costruiti, possono avere una finalità assicurativa: quando i tassi d’interesse aumentano, il Tesoro è costretto a corrispondere agli investitori che comprano titoli di Stato interessi più elevati. In linea teorica, un Irs può dunque scaricare sulla banca controparte il costo aggiuntivo di un irrigidimento dei tassi.
LE PAURECome si intuisce dall’esempio, i derivati possono muovere enormi quantità di denaro senza investimenti iniziali. Ci si può guadagnare molto, se i mercati si muovono nelle condizioni a noi favorevoli; allo stesso modo si possono perdere cifre colossali. La loro rischiosità è nota da tempo, visto il ruolo avuto in alcuni casi di fallimento che hanno fatto storia, dalla banca inglese Barings (1995) alla compagnia energetica texana Enron (2001). I derivati sono stati chiamati in causa anche per il default della Grecia, che li ha utilizzati per nascondere le vere condizioni dei conti pubblici.
QUANDO NASCONOIl governo italiano inizia a fare ricorso ai derivati negli anni Ottanta, per proteggersi dalle perdite potenziali sui titoli di Stato emessi in valuta estera, in un periodo in cui la lira era soggetta a forti svalutazioni. I primi sono del tipo “cross currency swap”, legati dunque al cambio della lira (e poi dell’euro).
LE REGOLE DI DINIIl 10 novembre 1995 il premier Lamberto Dini firmò un decreto con regole più precise per la sottoscrizione dei derivati, ampliando il tipo di quelli utilizzabili. Venne così formalizzata la possibilità di utilizzarli per ristrutturare i prestiti in lire, ovvero per cambiare il flusso degli interessi previsto dai tassi d’interesse dei titoli di Stato. ?Da allora si intensificano gli swap.
ARRIVA TREMONTIA metà degli anni Novanta gli enti locali iniziano a indebitarsi sempre più e, nel 1996, il governo di Romano Prodi li obbliga a coprirsi con un derivato dal rischio cambio, nel caso emettano prestiti in valuta. La svolta arriva però dal 2001 ?con Giulio Tremonti ministro dell’Economia. Regioni, Province e Comuni sottoscrivono un numero crescente di derivati, così come fa lo Stato. Come ha spiegato in parlamento Maria Cannata, dirigente del Tesoro, tra ?il 2000 e il 2005 attraverso i derivati il governo aveva perseguito il duplice obiettivo di contenere il fabbisogno di cassa ?e di allungare la vita del debito.
ECCO LE SWAPTIONPer ottenere questi obiettivi, oltre agli “Interest rate swap” vengono utilizzati anche dei contratti più complessi, chiamati “swaption”. Si tratta di opzioni che le banche comprano versando al Tesoro una certa cifra (il cosiddetto premio), ottenendo la possibilità di entrare in seguito un Irs a condizioni prefissate. In pratica, pagando ?il premio, la banca si assicura la possibilità di accendere un nuovo swap, e di farlo se e soltanto l’andamento dei tassi lo renderà conveniente, a danno dello Stato.
I PROBLEMINel 2006, con l’arrivo di Tommaso Padoa-Schioppa al ministero dell’Economia, viene ristretta la possibilità degli enti locali di fare nuovi derivati e, stando a quanto riferito da Maria Cannata, abbandonata la strategia di contenere il fabbisogno di cassa del Tesoro. Stando ai dati ufficiali, è dal 2006 che la gestione dei derivati smette di generare ?un flusso netto d’interessi positivo per le casse dello Stato. Quanto questo dipenda dai contratti firmati negli anni precedenti ?e quanto da quelli successivi, in base ?alle informazioni rivelate finora è però impossibile da sapere.
SCOPPIA LA GRANAL’allarme derivati scoppia all’inizio del 2012, quando il Tesoro è costretto a chiudere una serie di contratti fatti con Morgan Stanley, versando alla banca 3,1 miliardi di euro in due tranche. L’operazione nasce da un accordo quadro del gennaio 1994 che regola questo genere di strumenti fra il Tesoro e l’istituto; nell’accordo è presente una clausola unilaterale che permette alla banca ?di chiudere in anticipo tutti i contratti sottostanti, nel momento in cui le condizioni di mercato fanno prevedere incassi futuri favorevoli all’istituto superiori a 50 milioni di dollari. Come si scoprirà in seguito, la soglia era stata superata da tempo, senza che la clausola fosse esercitata. Nel 2012 il responsabile ?di Morgan Stanley in Italia è Domenico Siniscalco, che tra il 2001 e il 2005 ?è stato direttore generale del Tesoro.
IL MARK TO MARKETNegli anni successivi emerge un dato che suscita preoccupazioni ulteriori. Il valore di mercato (o “mark to market”) dei derivati del Tesoro in essere peggiora sempre più, raggiungendo alla fine del 2014 un picco di 42 miliardi. ?Il Tesoro sostiene che non si tratta ?di un fatto a cui dare troppo peso, visto che le condizioni di mercato potrebbero cambiare, riducendo le perdite. Su questa linea si schiera anche il ministro Pier Carlo Padoan, che sottolinea allo stesso tempo come i derivati siano ?un problema ereditato dal passato ?e che non ne verranno più fatti di nuovi.
I COSTIQuesta spiegazione nasconde però due problemi. Il primo è che ogni anno, tra oneri finanziari netti versati alle banche e costi connessi, le perdite si materializzano via via in costi reali. I dati relativi al quinquennio 2011-2015 dicono che si tratta di 23,5 miliardi in totale, con una media annua ?di 4,7 e un record di 6,7 miliardi nell’ultimo anno del periodo, il 2015 (vedi figura a pagina 25). Il secondo è che le perdite future, almeno negli anni più vicini, non sono soltanto potenziali ma molto probabili.
IL SEGRETOIl Tesoro e le altre istituzioni finora si sono sempre rifiutati di mostrare i contratti dei derivati a chi ne faceva richiesta. Il giornalista Guido Romeo, co-fondatore dell’organizzazione non governativa “Diritto di Sapere” ha fatto una richiesta di accesso agli atti al Tesoro, senza ottenere risposta. Si è dunque appellato prima al Tar, poi al Consiglio di Stato, venendo sempre respinto. Ci hanno provato anche alcuni parlamentari del Movimento 5 Stelle, la cui richiesta è stata respinta dalla Commissione per l’accesso ai documenti della Pubblica amministrazione. Tra gli esponenti del Tesoro, l’ultimo a rispondere negativamente è stato il direttore generale del Tesoro, Vincenzo La Via, durante l’indagine conoscitiva effettuata dalla Commissione Finanze della Camera nel 2015.
L’INDAGINE DELLA CORTEL’anno scorso la Corte dei Conti del Lazio ha fatto sapere di aver avviato un’indagine sui derivati sottoscritti fra il Tesoro e Morgan Stanley, costati alle casse pubbliche 3,1 miliardi di euro. In un documento pubblico ha ipotizzato un danno a carico dello Stato pari a 3,8 miliardi, che tiene conto anche ?dei costi sostenuti per reperire la somma miliardaria versata nel 2012 alla banca americana. Lo scorso luglio Morgan Stanley ha reso noto in bilancio di aver ricevuto una prima contestazione da parte della Corte, nei confronti della quale ha annunciato di volersi difendere, ritenendola non corretta. ?Il 14 settembre scorso, poi, il sito del quotidiano la Repubblica ha rivelato che un pubblico ministero della Corte, Massimiliano Minerva, ha convocato la banca e quattro fra dirigenti del Tesoro e ex ministri, avviando ?le audizioni per portare, eventualmente, ?a contestazioni formali. Si tratta degli ex ministri Siniscalco e Vittorio Grilli, ?oltre ai dirigenti La Via e Cannata.