Se l'economia pensa solo ai numeri diventa pericolosa
Gli esperti che si dedicano a contare e ottimizzare possono fare danno. Il vero oggetto della disciplina, come dice l’etimo della parola, sono la vita quotidiana e il governo dei suoi affanni. Le misurazioni quantitative ne sono solo uno strumento
Se è vero che siamo nell’epoca della post-politica, certo non siamo nella post-economia. Ma chi sono gli economisti di cui ascoltiamo le proposte?
Bisognerebbe distinguere fra “numeristi” e umanisti. I primi corrispondono a una fantasia che il profano ha dell’economia: una specie di super-ragioneria, che amministra i conti nazionali. Visione falsa. La vera economia, come dice l’etimo della parola, ha per oggetto la vita quotidiana, il governo dei suoi affanni: le misurazioni quantitative ne sono solo uno strumento. Václav Havel ha chiarito il pericolo della economia “numerista” nella prefazione al testo di T. Sedlá?ek “L’economia del bene e del male” (Garzanti). Gli economisti dediti solo a contare e ottimizzare sono pericolosi. Se affidassimo loro l’amministrazione delle orchestre, eliminerebbero le pause dalle sinfonie di Beethoven. Perché pagare i musicisti quando non lavorano? Forse perché, eliminandole, la sinfonia sparirebbe. La mente umana cerca l’armonia: che include l’eccitazione ma anche la pausa.
* * * Il dilemma numerismo-umanismo tocca le grandi questioni economiche, rivelando la loro profonda natura psicologica. Il fisco sta al centro di ogni politica: particolarmente per il cittadino italiano, consapevole dei compiti sociali, eppure – per secolare mancanza di identificazione con lo stato – spesso suo evasore. Immaginiamo un paese A dove le spese pubbliche corrispondano al 40% del prodotto nazionale (PIL). Se A è un paese virtuoso, lo stato imporrà tasse per il 40% del PIL: i cittadini le pagheranno e il bilancio pubblico resterà in pareggio. Immaginiamo ora un paese B. Anche qui le necessità della spesa pubblica corrispondono al 40% del PIL: ma i cittadini in media nascondono metà dei loro redditi. Cosa farà lo stato? Se li tassasse al 40% andrebbe in bancarotta. Sceglierà una tassazione nominale dell’80%. Presumibilmente ne incasserà metà, cioè 40%. Così, anche il paese B manterrà i conti in ordine.
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Per il numerista i due sistemi sono equivalenti: sia A che B riescono a pareggiare il bilancio e a fornire prestazioni pubbliche pari al 40% del PIL. Non per quello umanista. I costi numerici sono apparentemente uguali, quelli psicologici ben diversi. In B il cittadino medio dovrà tenere una contabilità doppia per i suoi redditi, ufficiali e nascosti; avrà costantemente paura di confonderli e di essere scoperto; nasconderà i guadagni evasi “sotto il materasso”, rischiando di dimenticarli o farseli rubare; spesso rinuncerà a mezzi di pagamento moderni come la carta di credito o il bonifico per internet. Ma soprattutto, anche se negherà di avere veri sensi di colpa, proverà un disagio indefinibile: qualcosa in lui “sa” che non dovrebbe andare così. Insomma, se risparmierà sulle tasse sosterrà un “costo psicologico” che non è misurabile numericamente, ma è molto alto. Avrà un reddito pari al cittadino di A, ma una qualità della vita decisamente peggiore. Non è finita: anche la sua controparte, il rappresentante dello stato, pagherà costi psicologici seri. Incontrando il cittadino, darà per scontato che questi ha la coscienza sporca. Non potendolo dimostrare, e non potendo nascondere soldi a sua volta, sentirà di essere il babbeo, sacrificato a una maggioranza di furbi; reagirà trattando il cittadino in modo freddo, o altezzoso, o ostile: quando non si farà addirittura tentare dal “ognuno deve pensare a se stesso”, chiedendo pagamenti sottobanco. Anche lui sarà spesso di malumore e stressato. Perderà la fede nel suo lavoro e nella società cui esso è destinato. Come un disperato abbandonato dal suo Dio, tanto l’uomo dello stato che il cittadino non “crederanno” più in un ordine sociale, ma nel circolo vizioso della diffidenza. Se il calcolo della evasione sarà stato corretto, a fine anno i numeri torneranno: ma durante tutto l’anno ognuno avrà vissuto nello stress, perché si basava su una stima indiretta della frode, non su dati certi. E, proprio come la cattiva coscienza, anche l’insicurezza costante ha un alto costo psicologico.
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Prendiamo ora un altro esempio. Una valuta stabile è da sempre apprezzata perché evita l’incertezza dei prezzi. È il motivo per cui in tutto il mondo si convertono i risparmi in Dollari o Franchi Svizzeri. Purtroppo, i politici sono eletti per un periodo limitato di tempo. Se l’economia è stagnante, per saziare gli elettori qualcuno propone la svalutazione.
Per riavviarla oggi in Italia bisognerebbe innanzitutto tornare alla lira, abbandonata a costo di lacrime e sangue proprio per la sua instabilità. Il politico che la suggerisce si affida però a un numerista, che dimostra con cifre il suo argomento. Se svalutiamo del 20%, sul mercato internazionale le nostre merci costeranno 20% di meno. Aumenterà l’esportazione: non per maggior fiducia nella produzione del nostro paese (che al contrario si riprenderà la reputazione di esser poco stabile) ma per immediata convenienza (in altre parole: gli stranieri saranno incoraggiati a comprare, ma scoraggiati dall’investire in Italia).
Naturalmente molti prezzi internazionali – come quello del petrolio, quotato in Dollari – resteranno invariati: cioè costeranno il 20% in più per noi che abbiamo svalutato. Questo aumenterà sia le spese di chi usa l’auto sia quelle dei produttori: che però ora esportano di più. Logicamente anche i dipendenti vorranno qualche beneficio: il loro costo della vita (che include petrolio e altri beni importati) sta crescendo. Sommando tutti questi aumenti, dopo un po’ le nostre merci costeranno un 20% in più. Il vantaggio è svanito. Il numerista interverrà: Svalutiamo ancora, magari del 30%! E, quando avremo esaurito lo slancio, un’altra volta. Insomma, se abbiamo creato un vantaggio esportativo, e poi lo abbiamo perso, abbiamo trovato un equilibrio: la produzione funziona, anche se a singhiozzo. Non con nuove tecniche, ma con quella del criceto, che crede di viaggiare quando corre nella ruota.
Una trappola che ha torturato l’Argentina: che però, non essendo popolata da criceti, è scivolata nella esasperazione. Mentre l’inferno circolare ruota, produttori e dipendenti vivono nell’insicurezza: senza vedere un orizzonte in cui terminerà, perché la via della svalutazione è un viaggio di cui si conosce l’inizio, ma difficilmente la fine. Non potendosi stimare le spese per gli anni futuri, si faranno sempre meno contratti a lungo termine e si programmerà sempre più alla giornata.
Questo lascerà cicatrici perfino nel rapporto tra le generazioni, un cui asse portante è lo sguardo dei genitori lanciato verso il futuro dei figli. Impariamo anche questo dal Sud America, dove continue inflazioni hanno disabituato a pensare se stessi nel futuro lontano: in qualche caso contribuendo addirittura alla diffusione dell’Aids, perché la malattia si manifesta solo nei decenni. Alla lunga, qualunque costo psicologico viene presentato all’incasso: quelli della manipolazione numerica sono silenziosi veleni. Governare gli uomini come se fossero numeri e non psicologia è l’errore più grave che i politici possano commettere.