La chiusura delle aule sta avendo un impatto devastante, e spesso sottovalutato, sulle nuove generazioni. Ma il Covid-19 ha accentuato fenomeni che vanno avanti da oltre un decennio. E adesso è il momento di un intervento straordinario per riallinearci all'Europa
"Chiudere la scuola è come chiudere le studentesse e gli studenti in loro stessi. Li spinge a perdere fiducia nell'ambiente intorno a loro"
. Mi ha colpito questa affermazione di Giuliano Policastro, uno studente torinese, che sarà uno dei protagonisti della prima tappa del percorso
"OpenForumDD: 16 giorni in diretta... proposte, dialoghi e strategie per il Paese di domani" organizzato dal Forum Disuguaglianze e Diversità che si aprirà domani, 30 novembre, con una giornata dedicata al tema dell'educazione e della scuola.
Mi ha colpito perché mette a nudo, ci sbatte in faccia, come nel dibattito politico vi sia, se pur a volte mascherato con dichiarazioni eclatanti, una sostanziale sottovalutazione dell'impatto che la chiusura delle scuole sta avendo sulle bambine e sui bambini, sulle ragazze e sui ragazzi. Non solo sul piano specifico delle competenze e dell'apprendimento, ma anche sulla stessa possibilità di vivere con libertà e supporti adeguati momenti centrali per la crescita che si intrecciano in modo forte con il tempo, le relazioni e gli spazi educativi.
Una
sottrazione di futuro che colpisce tutte e tutti ma che diventa devastante per le alunne e gli alunni più fragili – i figli e le figlie dei poveri, gli alunni con diversa abilità o con background migratorio - che già prima correvano il rischio di perdersi o di veder fallire il loro percorso formativo e che oggi, di fronte a un anno scolastico che sarà intermittente e caratterizzato da lunghi periodi di didattica a distanza, rischiano, come già successo nello scorso marzo, di pagare il prezzo più alto.
Perché il covid nel suo impatto sulla scuola e in particolare sui temi della povertà educativa, come per molti altri ambiti che si intrecciano con le nostre vite, non ha inventato nulla ma ha evidenziato, esasperato e allargato le disuguaglianze preesistenti, a volte rendendole così dure da risultare insopportabili e inaccettabili prima di tutto dal punto di vista etico.
Per questo è bene dirci da subito che
la crisi educativa italiana trova le sue radici in una miopia politica che viene da lontano. Dal 2008 a oggi l'Italia è l'unico paese europeo che non ha aumentato gli investimenti sulla scuola. Al contrario, si è registrata una costante sottrazione di risorse, che per paradosso, è diventata più pesante negli anni del più forte salto tecnologico.
I risultati, sono sotto gli occhi di tutte e tutti: livelli di competenze di base molto più bassi degli altri paesi industrializzati, così come più basso della media europea è il numero di iscrizioni all'università. Una mobilità sociale bloccata. Un tasso medio di occupazione giovanile che in Italia è del 56% a fronte di una media europea dell'86% (come sempre con il dato più drammatico al Sud, dove la media è del 32% mentre al nord sale al 66%). E, ancora, comporta un abbassamento del livello culturale dell’intera società, contribuendo a produrre maggiore spesa pubblica, generando marginalità e conflitto sociale, condizionando negativamente la partecipazione democratica di tutti e tutte.
Da qui la necessità di
mettere al centro della politica italiana la promozione del sapere, in primis rilanciando il dettato costituzionale che intende la scuola pubblica uguale per tutte e tutti e, al contempo, lavorare a un insieme di dispositivi capaci di costruire un’agenda della "discriminazione positiva" in campo educativo dando davvero di più a chi parte con meno nella vita.
Più nello specifico, ovunque e soprattutto nella aree del Paese più fragili investire sulla scuola è da considerarsi priorità dell’agire pubblico, perché altrimenti non si possono determinare le condizioni idonee a garantire sviluppo e legalità. Perché le scuole sono le prime garanti dell’articolo 3 della Costituzione, e il loro venir indebolisce fortemente la coesione sociale e territoriale, soprattutto nei luoghi dell’esclusione multi-fattoriale.
Perchè in un Paese così segnato da lacerazioni e rancore le aule delle scuole sono tra i pochi luoghi dove ancora i differenti si parlano e si riconoscono in una comunità condivisa, educandosi reciprocamente alla convivenza e al fare insieme.
Occorre uno scatto che dica con chiarezza che la scuola va tutelata e protetta fino all'ultimo. Considerata bene indispensabile e di interesse collettivo, almeno come lo sono un supermercato o un benzinaio. Sapendo che chiudere la scuola, come ci ricorda la preside De Bartolo di Palermo, in alcuni territori è come chiudere la piazza perché in quei territori la piazza non c'è.
E' importante ricordarselo e chiedere fin da ora che
anche se la pandemia ci obbligherà a fermarci, dovremo fare in modo che alcuni spazi educativi, pur nel rispetto delle norme di sicurezza, rimangano comunque aperti. Spazi educativi di prossimità che saranno fondamentali per stare accanto a chi davvero rischia, nel vuoto educativo, di veder definitivamente pregiudicata la possibilità stessa di poter avere un futuro dignitoso e di poter esercitare davvero il proprio essere cittadino/a. Spazi educativi anche per segnalare in modo concreto che le istituzioni sono vicine alle famiglie e soprattutto a quelle mamme che, pur pagando il dazio di una ingiusta e sbagliata distribuzione tra generi dei compiti di cura, tutti i giorni riescono a stare accanto a figli e figlie, a portare avanti la casa, a lavorare dentro e fuori le mura domestiche. Spesso con un lavoro sfruttato e non riconosciuto ma che risulta essenziale per garantire alle loro famiglie di arrivare a fine mese.
Per tutte queste ragioni il ForumDD insieme alla rete di reti "educAzioni" ha chiesto che sul sistema educativo sia collocato almeno il 15% di tutti gli investimenti anche per attestare gradualmente la spesa italiana in educazione alla media europea del 4,5% sul PIL. Un investimento straordinario per dotare le scuole delle risorse necessarie, a mettere in sicurezza gli edifici scolastici, a migliorare la qualità dell’istruzione rendendola più equa e incisiva, a contrastare la povertà educativa e la dispersione scolastica.
Un impegno da non considerare come una spesa a fondo perduto, ma un investimento per promuovere lo sviluppo e il benessere sociale ed economico delle generazioni presenti e future. È l’investimento sulla più importante infrastruttura del Paese, e come tale va considerato anche nella programmazione relativa ai fondi europei a partire da quelle della Recovery and Resilience Facility.
Infine, rimettere al centro la scuola e i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza è necessario anche per "risarcire" bambini e adolescenti del futuro complesso e critico che gli stiamo lasciando. Quello che va posto in essere è un patto di equità generazionale per dare un segnale chiaro di inversione di rotta da parte di un paese tra i più vecchi al mondo e che non può permettersi anche di diventare il più egoista.