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Nella stagione dei furbetti del quartierino, Giovanni Consorte fece l’errore di giocare di sponda insieme alla cordata di Gianpiero Fiorani, Stefano Ricucci e Danilo Coppola, una sgangherata compagnia di giro destinata a crollare sotto il peso delle proprie ambizioni e di innumerevoli inchieste giudiziarie. Cimbri, che da braccio destro di Consorte combatté (e perse) in prima linea quella storica battaglia, a quanto sembra ha imparato la lezione. Da allora, il gran capo di Unipol, 55 anni, un tipo ruvido, dallo stile di comando poco incline ai compromessi, si è sempre messo in scia alla squadra vincente e ora spera di raccogliere i frutti dell’alleanza con due pesi massimi come Banca Intesa e Mediobanca, che hanno fin qui appoggiato la sua ascesa.
«L’idea della creazione del terzo gruppo bancario italiano attraverso l’aggregazione tra BancoBpm e Bper è affascinante», ha dichiarato Cimbri al Sole 24Ore un mese fa. Gli investitori hanno accolto le parole del manager come un programma di lavoro per i prossimi mesi, con il prevedibile strascico di rialzi in Borsa per i titoli coinvolti nell’ipotetica operazione. Da tempo, infatti, il milanese BancoBpm guidato da Giuseppe Castagna studia l’ipotesi di una fusione, mentre Unipol, con una quota del 20 per cento, è di gran lunga il socio più influente di Bper, cioè la Popolare dell’Emilia con base a Modena. In pratica, Cimbri si candida al ruolo di regista di un nuovo polo bancario che per dimensioni andrebbe a occupare il terzo gradino del podio nella graduatoria nazionale del credito, alle spalle di Intesa e di Unicredit ma davanti al Monte Paschi, destinato, secondo questo schema, a un futuro in solitaria sotto il controllo dello Stato.
L’operazione prospettata dal numero uno di Unipol non è esattamente dietro l’angolo, ma sembra qualcosa in più di una semplice ipotesi di lavoro, anche perché il tempo stringe. La crisi economica innescata dalla pandemia lascerà ferite profonde nei bilanci degli istituti di credito e quelli più deboli per redditività e patrimonio si troveranno in qualche modo costretti a trovare un alleato per reggere l’urto dell’inevitabile resa dei conti con il mercato. Un’occasione d’oro per chi, come Cimbri, si presenta a questo appuntamento decisivo dopo aver fatto pulizia in casa propria. Tra il 2017 e il 2019, la controllata Unipol Banca è stata dapprima ripulita di una gran massa di prestiti in sofferenza e poi venduta, in perdita, agli alleati di Bper.
A conti fatti, il riassetto è costato quasi 1,5 miliardi, ma adesso il bilancio del gruppo assicurativo macina utili in gran quantità: 759 milioni nei primi nove mesi del 2020, il 31 per cento in più rispetto allo stesso periodo del 2019 grazie anche alla netta diminuzione degli incidenti stradali per via del lockdown di primavera. Il mercato applaude. Tra inevitabili alti e bassi, il titolo Unipol negli ultimi tre anni è andato meglio dell’indice di Borsa e anche di concorrenti come Generali e Allianz. Resta da sanare un peccato originale, da tempo messo all’indice dagli analisti. Cimbri, infatti, si trova a guidare un gruppo dalla struttura a dir poco singolare, con la holding quotata in Borsa che di fatto possiede una sola attività di peso, la UnipolSai, pure quotata. Quest’ultima, a cui fanno capo tutte le attività assicurative, vale oltre l’80 per cento del bilancio della capofila, che negli ultimi anni ha aumentato fino all’85 per cento la sua partecipazione nel capitale della controllata operativa.
«Scatole cinesi», attaccano molti investitori istituzionali che guardano con perplessità a queste architetture finanziarie costruite per difendere gli interessi dei soci di maggioranza. Questione di stile. E anche di sostanza, a ben guardare. Le cooperative azioniste, infatti, sono riuscite a blindare il controllo del gruppo riducendo al minimo indispensabile il proprio impegno finanziario. Le voci critiche però si perdono nel vuoto, mentre sul mercato, nonostante le smentite ufficiali, periodicamente riaffiorano le indiscrezioni su una prossima fusione tra le due società col marchio Unipol. Si vedrà. Intanto il sistema cooperativo, premiato negli anni da ricchi dividendi, appoggia senza riserve il manager a cui ha affidato le chiavi della cassaforte. Non per niente lo stipendio di Cimbri è quasi raddoppiato nel giro di quattro anni: dai 2,9 milioni lordi del 2015 ai 5,6 milioni guadagnati al lordo delle tasse nel 2019. Senza contare che il manager può contare anche sui titoli delle due società quotate del gruppo ricevuti negli anni scorsi come incentivo gratuito. In base ai prezzi borsistici di questi giorni il tesoretto vale circa 5,8 milioni.
Così, adesso, il numero uno di Unipol è uno dei capi azienda più pagati della Borsa italiana. Il suo compenso, per dire, supera di un paio di milioni quello di Philippe Donnet, l’amministratore delegato di Generali, cioè il campione nazionale delle polizze, ai primi posti anche in Europa. Va detto, peraltro, che la compagnia delle Coop ha di molto accorciato le distanze nei confronti del battistrada. Un risultato su cui quasi nessuno avrebbe scommesso dieci anni fa, quando Cimbri prese il timone di un gruppo che allora arrancava sotto il peso di perdite per centinaia di milioni, eredità della precedente gestione. Strada facendo - fatto che può apparire paradossale - Unipol ha recuperato posizioni grazie al decisivo supporto fornito da Mediobanca, che di Generali è il principale azionista.
Nel 2012, l’istituto guidato da Alberto Nagel chiamò in soccorso la compagnia bolognese per affidarle i cocci della Fonsai di Salvatore Ligresti, verso cui Mediobanca era esposta per oltre un miliardo di finanziamenti. Da allora Cimbri e Nagel filano d’amore d’accordo. Non c’è affare di una certa rilevanza, dagli aumenti di capitale fino ai riassetti societari, che in questi anni non abbia visto la banca che fu di Enrico Cuccia schierata al fianco della compagnia bolognese. Per Cimbri l’operazione Fonsai ha segnato l’esordio al piano nobile della finanza nazionale, quello che un tempo veniva chiamato il salotto buono. Dalla fusione con le assicurazioni di Ligresti nacque UnipolSai e la neonata società ereditò alcune partecipazioni strategiche del vecchio alleato di Mediobanca. Tra queste anche una quota del 4,9 per cento nel Corriere della Sera. Un gran successo, non c’è dubbio, anche se l’operazione, a dire il vero, ha lasciato uno strascico di controversie sulla valutazione delle società destinate a unirsi. Alla procura di Milano risulta ancora aperto un fascicolo d’indagine in cui si ipotizza che le attività della Fonsai di Ligresti fossero state vendute a sconto con l’obiettivo di favorire la controparte, cioè Unipol. In attesa di un verdetto, i sospetti restano tali, mentre tutti i protagonisti dell’affare hanno sempre ribadito la correttezza delle perizie che a suo tempo stabilirono il prezzo delle attività che confluirono nel nuovo grande gruppo assicurativo.
Fatto sta che nell’arco di un decennio racchiuso tra due devastanti crisi finanziarie, di cui l’ultima ancora in corso, il successore di Consorte è riuscito a passare indenne tra crolli di Borsa e ribaltoni vari, superando senza danni anche un paio di processi penali, compreso quello per la scalata alla Bnl al tempo dei furbetti. E adesso, al giro di boa del 2020, Cimbri può permettersi di sedere al tavolo dei negoziati dove si decidono le sorti di grandi istituti di credito come il Monte dei Paschi di Siena e il BancoBpm. A dire il vero, Unipol si è già mossa per tempo appoggiando nella primavera scorsa l’offerta pubblica da 4 miliardi lanciata da Intesa su Ubi con la regia di Mediobanca. A giochi fatti, la compagnia delle Coop si è presa il business assicurativo legato ai 532 sportelli ex Ubi girati da Intesa a Bper per rispettare le indicazioni dell’Antitrust. Ce n’è per tutti quindi. La Popolare con base a Modena si rafforza in Lombardia, l’area più ricca del Paese, e si avvicina di molto, per dimensioni dell’attivo, al Monte dei Paschi. Unipol invece mette in bilancio nuove polizze vita per un paio di miliardi. Il meglio, però, deve ancora venire. All’orizzonte resta il bersaglio grosso: una fusione che cambi gli equilibri del sistema creditizio. Così Cimbri potrà finalmente dire: «Abbiamo una banca».