Infrastrutture

L’alta velocità tra Salerno e Reggio Calabria costerà miliardi e non sappiamo quando (e se) sarà completata

di Gloria Riva   10 novembre 2021

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La linea ferroviaria tra la Campania e lo Stretto avrà tempi lunghi e finanziamenti incerti. Ma molti mettono in dubbio l’utilità stessa del progetto e propongono soluzioni alternative e più rapide

La chiamavano l’Eterna Incompiuta, l’autostrada che va da Salerno a Reggio Calabria: un coacervo di cantieri aperti e cavalcavia perennemente in costruzione. Poi, nel 2016 l’autostrada s’è compiuta forzosamente, nel senso che il Governo - all’epoca il premier era Matteo Renzi - decise di chiudere il rubinetto dei finanziamenti e lasciare la strada così com’era, sorvolando persino sulla riqualificazione delle tratte più pericolose.

 

Ora, quell’appellativo, l’Eterna Incompiuta, rischia di tornare d’attualità e di essere appioppato alla futura tratta ferroviaria dell’Alta Velocità che collegherà Salerno a Reggio Calabria in quattro ore e quindici minuti per 445 chilometri di lunghezza e un costo complessivo che, ad essere ottimisti, sarà di 22,8 miliardi di euro.

 

Le tempistiche? I primi due lotti dovrebbero essere ultimati entro nove anni, il resto nessuno lo sa. A lanciare l’allarme sono ambientalisti, economisti, docenti di ingegneria dei trasporti e amministratori locali all’indomani del confronto pubblico “I grandi investimenti in Italia. Il caso del collegamento ferroviario Salerno-Reggio Calabria”, organizzato dal Forum Disuguaglianze e Diversità. Dagli interventi del ministro dei Trasporti, Enrico Giovannini, del coordinatore della struttura tecnica del ministero, Giuseppe Catalano e di Vera Fiorani, amministratore delegato di Rfi, Rete ferroviaria italiana, si è appreso che i 12 miliardi stanziati per la linea calabrese serviranno a coprire due dei sette lotti complessivi. Ma per completare l’opera serviranno almeno 22,8 miliardi. «È un bene che il governo abbia deciso di rompere l’isolamento della Calabria, la regione più in difficoltà d’Italia. Ma siamo certi che quella ferrovia è un investimento opportuno, dato il suo costo? Inoltre, non ci sono dati, ma è lecito supporre che potrebbe completarsi non prima della fine degli anni Trenta: è consigliabile investirli così, visti e considerati i tempi assai lunghi e l’immediata urgenza di aiutare questo territorio?», si domanda Gianfranco Viesti, economista dell’Università di Bari.

 

Domande a cui il governo risponderà nei primi mesi del prossimo anno, visto che Vera Fiorani di Rfi assicura che a gennaio sarà ultimato lo studio di fattibilità dei primi due lotti, a cui seguirà il dibattito pubblico. In realtà l’opera è già stata definita: «Sembrerebbe che le decisioni siano già state prese, anche se il progetto completo non è ancora pronto e le alternative di tracciato non sono pubblicamente disponibili. Manca una vera disanima delle alternative progettuali, compreso il tipo di linea, la stima della domanda e un’analisi dei costi e dei benefici», commenta il professor Paolo Beria, docente di Economia dei Trasporti e direttore del Laboratorio di politica dei Trasporti al Politecnico di Milano.

 

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Il governo Draghi prevede di investire fortemente sul potenziamento delle linee ferroviarie di lunga percorrenza, mentre dall’elenco delle opere sono pressoché assenti le reti metropolitane - si prevede di realizzarne solo 11 chilometri -, che sarebbero utili a decongestionare le città. Questo perché sull’onda della fretta per la presentazione del Pnrr, sono stati approvati i progetti già avviati e sui quali era possibile investire più velocemente: «L’assenza di Roma, con tutti i problemi viabilistici che ha, è emblematica. Da anni alla capitale sembra mancare capacità progettuale e, non avendo alcun grande progetto nel cassetto, nulla è stato destinato per migliorare la viabilità fra centro e periferia», spiega Beria.

 

Le opere in programma non sono state totalmente finanziate, infatti nell’allegato al Def, il Documento di economia e finanza, da poco pubblicato dalla Ragioneria di Stato, c’è scritto che per le ferrovie italiane saranno investiti 156,7 miliardi, di cui 24,7 finanziati dall’Europa attraverso il Piano di Ripresa e Resilienza e altri 69,1 messi dallo Stato. All’appello mancano oltre 62,8 miliardi, che i futuri governi dovranno reperire, sperando che la ripresa economica sarà tale da consentire al paese da avere sufficiente fieno in cascina per ultimare quelle opere e, contemporaneamente, iniziare a rimborsare il capitale prestato dall’Europa per il Next Generation Eu. Che poi, quei 62 miliardi e più non basteranno neppure, prova ne è il fatto che, fra le note a piè di pagina del Def, si scopre che dal conto complessivo mancano i 12 miliardi extra (sui 22,8 totali) per completare proprio la linea ferroviaria Salerno-Reggio Calabria.

 

Il rischio di non ultimare il grande piano di modernizzazione ferroviaria esiste, eccome. Ma indietro non si torna, perché il governo ha deciso di puntare moltissimo sulle ferrovie all’interno dei piani finanziabili con il Recovery Plan dell’Unione Europea. Tuttavia, secondo il professor Beria del Politecnico di Milano, «la stragrande maggioranza dei progetti non è sostenibile dal punto di vista delle analisi costi-benefici. Ci sono casi di over design, ovvero infrastrutture con performance eccessive rispetto alle necessità, ad esempio in termini di capacità, e spesso anche con un impatto ambientale dubbio. Penso al potenziamento della Roma-Pescara, che prevede gallerie e varianti per un totale di quasi quattro miliardi, mentre con interventi mirati sarebbe possibile potenziare l’attuale linea e ottenere importanti risparmi di tempo, ma dimezzando i costi. Tanto più che mancano tre miliardi di finanziamento. Lo stesso vale per il raddoppio della Orte-Falconara, che costa oltre quattro miliardi, ma solo 1,2 miliardi sono attualmente finanziati. Mancano anche due miliardi per concludere la Torino-Milano-Genova».

 

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A Sud, l’opera principale è la Salerno Reggio Calabria: la scelta di estendere l’alta velocità al Centro Sud è dettata dalla necessità di offrire a questi territori le stesse opportunità di cui ha goduto il Nord, grazie allo sviluppo della ferrovia veloce. «Ma si sta da un lato progettando una linea con costi, pendenze e capacità eccessive rispetto al resto della rete ad Alta Velocità del Nord, e dall’altro si rischia di avere una linea che per decenni terminerà a Tarsia, con effetti assai limitati», commenta Francesco Russo, docente di Ingegneria dei Trasporti all’Università Mediterranea di Reggio Calabria, che continua: «Si rischia di commettere nuovamente gli stessi errori del passato». Perché Rfi prevede di realizzare treni veloci capaci di portare non solo passeggeri ma anche merci pesanti. Questo comporta un raddoppio dei costi di costruzione, grandi gallerie, ponti, viadotti pesanti e curve ad ampio raggio: «Il costo dell’alta velocità in Italia è doppio rispetto a Francia e Spagna perché Rfi ha deciso di costruire linee in grado di far passare anche i treni merci, che pesano oltre mille tonnellate, anche se sull’alta velocità non passa neppure un convoglio di questo tipo. Abbiamo sprecato un sacco di soldi e ci domandiamo perché ora dovremmo sprecarne altri, tanto più che il potenziamento della linea tra Sibari, Metaponto, Taranto e Bari per far viaggiare le merci sulla linea ionica e poi su quella adriatica ci è costato un mucchio di soldi e funziona benissimo», dice Russo, portavoce di un gruppo di otto docenti siciliani e calabresi che a marzo dello scorso anno hanno inviato un documento di proposte alternative per le infrastrutture del Sud, nel quale si offrivano suggerimenti per evitare di sperperare il denaro destinato ai trasporti. I docenti consigliano di puntare sull’alta velocità fino a Reggio Calabria usando però una tecnologia più leggera e passando dalla costa, così da dimezzare i costi. Le risorse liberate potrebbero servire per modernizzare i porti di Augusta e Gioia Tauro, per creare le smart road e puntare sull’alta velocità fra Catania e Palermo, dove oggi si viaggia a non più di cento all’ora.

 

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Edoardo Zanchini, vice presidente di Legambiente, si fa portavoce di molti amministratori locali, «che ci scrivono chiedendo di non essere tagliati fuori dalla futura linea ferroviaria, specialmente nell’area del parco del Cilento. Questo perché l’alta velocità, così com’è strutturata, collega le grandi città, ma trascura i piccoli centri. Prima di disegnare la nuova linea, sarebbe utile parlare con i territori e le comunità locali per capire di cosa hanno bisogno e quale futuro immaginano per la Calabria. Ecco perché il dibattito pubblico è urgente. Serve un’analisi approfondita da parte di Rfi e possibili alternative a costi più bassi e in tempi minori». Tuttavia, proprio Rfi ha già fatto uno studio delle alternative che però risale al 2005. E all’orizzonte non sembra esserci alcuna intenzione di avviare nuove analisi sul tema.

 

In realtà in Calabria un progetto per un’alta velocità più snella ci sarebbe già: era presente nel Documento di economia e finanza dello scorso anno e prevedeva di potenziare l’attuale tratta che avrebbe collegato Salerno a Reggio in quattro ore e un quarto, senza costruire 160 chilometri di gallerie, concludendo l’opera in pochi anni e spendendo circa otto miliardi, anziché 22,8. Ma l’ad di Rfi, Vera Fiorani, fa notare che lavorare su una linea in attività è molto più complicato e crea enormi disagi di viabilità per parecchi anni rispetto alla creazione di una nuova linea.

 

«Sicuramente l’offerta sulla linea Tirrenica Sud è limitata e inadeguata. Pre-Covid c’erano in totale dieci treni fra Roma e Reggio Calabria, il più veloce dei quali impiegava quattro ore e 51 minuti. I collegamenti per Napoli sono anche meno, per Taranto ci vogliono sette ore e 23 fermate. Ma questa offerta scarsa non dipende dalla linea, che è a doppio binario, quasi tutta viaggia a oltre 180 chilometri orari e lontana dalla saturazione. Per potenziare radicalmente quella linea basterebbe aumentare il servizio e migliorare l’orario», commenta Beria del Politecnico di Milano, che si domanda quale possa essere l’effetto positivo sull’economia calabrese di un progetto che, ad andar bene, sarà ultimato tra quindici anni. «Tanto più che molta della spesa in cemento, gallerie e impianti non andrà ad imprese calabresi», dice il professore del Politecnico, «perché dei miliardi spesi, molto andrà al Nord e all’estero, dove la tecnologia utilizzata viene prodotta».

 

E ai calabresi? Resterà una mega opera, costata un sacco di quattrini, con molti dubbi sulla reale efficacia della linea a migliorare le condizioni di vita di una popolazione fra le più in difficoltà d’Italia.