Per il nostro Paese il Recovery plan è una grande scommessa. Ma lo è anche per gli altri 26 stati membri. Perché dal successo italiano dipenderà il futuro dell’Unione

Leonardo Panetta, corrispodente da Bruxelles di Mediaset, sta seguendo da vicino le vicissitudini del Recovery Plan, e ha scritto un libro, «Recovery Italia. Perché siamo il malato d'Europa?», con la prefazione di Carlo Alberto Carnevale Maffè in cui racconta le vicende del piano dalla prospettiva delle istituzioni europee.

«L'idea mi è venuta durante la trattativa del Recovery nel luglio 2020 quando il Consiglio europeo diede il via libera la Fondo comune di recupero e resilienza. Mi sembrò un momento storico. Per una volta l’Europa rispondeva velocemente e non con la solita macchina lenta e farraginosa».

Se ne parlò molto...

«Ma io volevo fare un racconto dalla prospettiva europea, non italiana. Da Bruxelles noi ascoltavamo gli italiani cantare vittoria ma anche gli olandesi. Ciascuno secondo una retorica diversa. E mi sono chiesto se questa, visto che l'Italia avrebbe preso tanti soldi, non sarebbe stata la volta buona per ribaltare completamente il Paese. Per cambiare l'immagine dell'Italia malato d’Europa».

E dunque?

«Non sarà così. Perché i problemi dell'Italia sono molteplici e, anche se Bruxelles lo vorrebbe, è impossibile che l'Italia risolva tutti i suoi contenziosi. Credo invece che il recovery sarà una specie di vincolo esterno: uno strumento tramite cui l'Italia sarà costretta a migliorare delle situazioni, lo abbiamo visto con le concessioni balneari, e che fatica, quante contraddizioni».

Però il Recovery può essere un punto di partenza per un cammino virtuoso?

«Certo. L'importante è non considerarlo un punto di arrivo. È una scommessa. Lo strumento con cui mettere in moto il cambiamento, come ha detto Draghi. Ed è importante che l'Italia continui a crescere anche oltre il 2023, quando finirà l'effetto del rimbalzo che per il momento sta andando benissimo, anche oltre le previsioni. Deve riconquistare credibilità internazionale. Ed è in quest'ottica che è importante la riforma della giustizia: noi la vediamo con occhi italiani ma per l'Europa è uno strumento per l'economia, ovvero per garantire certezza a chi investe in caso di contenzioso. Certezza che i tempi lunghissimi della giustizia ora non danno».

In questo contesto sarebbe molto utile il non ritorno al rispetto delle regole del patto di stabilità...

«Sarebbe problematico tornare alle regole pre-pandemiche con un debito che è ormai arrivato al 160 per cento l'obiettivo del 60 per cento è irrealistico».

La battaglia per cambiare le regole è iniziata, con in testa il commissario Paolo Gentiloni e l'avallo della Francia...

«Sarà una battaglia difficile in cui si misura il peso di ogni Paese. Alcuni non vogliono cambiare nulla. Se solo riuscissimo a portare la soglia massima del debito dal 60 al 100 già sarebbe un grande successo. Ma il dibattito può essere rallentato nel 2022 ed andare anche oltre il 2023, oltre le nostre attese».

Eppure tornare indietro sarebbe assurdo in questo nuovo mondo post-Covid: l'Europa rischia di restare schiacciata tra Usa e Cina a causa delle divisioni interne...

«Se non agisce a 27 il fattore destabilizzante l'Europa ce l'ha in casa. La transizione ecologica ci sta mettendo in mano alla Cina che produce i componenti per le energie verdi: dobbiamo lavorare insieme e guardare oltre le regole interne di ieri, anche sulla concorrenza L'Europa non può dare la stessa riposta del 2011. Non vorrei che alcuni vogliano un ritorno al passato perché non hanno risposte da dare per il futuro».

Mai come adesso sembra impellente dare riposta alla questione identitaria...

«L'Europa deve capire se vuole esser solo mercato o un entità geopolitica. Se è interessata solo al mercato, allora vincerà sempre la parte più burocratica. Ma se ha ambizioni di diventare colosso geopolitico allora si deve dare nuove regole e nuova prospettiva».

A proposito di regole, quella del voto all'unanimità in seno al Consiglio pare sempre più superata...

«Tra un po’ diventeremo un’Europa a 30 e avremo ancora più inquilini. È evidente che nell'assetto attuale, dove hai la Commissione che è come un governo, il parlamento e poi il Consiglio che fa da Senato e che blocca ogni decisione, qualcosa non va. O si cambia modalità di voto o stiamo solo perdendo tempo. Mi pare ovvio che se allarghi devi anche cambiare le modalità di voto altrimenti all'unanimità non si deciderà mai nulla. Esattamente come in un condominio».

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